venerdì 11 gennaio 2019
Con l'episodio di Cassino, sono 8 le maestre sospese dall'inizio dell'anno. La legge sulla videosorveglianza è ferma al Senato
La polizia davanti all’asilo del quartiere Magliana di Roma (Ansa)

La polizia davanti all’asilo del quartiere Magliana di Roma (Ansa)

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Otto maestre (più una ausiliaria) sospese in dieci giorni. Di cui tre arrestate. È un record preoccupante, quello dei maltrattamenti sui bambini negli asili in questo inizio d’anno. E saranno le insopportabili immagini delle botte e degli insulti a chi non si può difendere, sarà il dibattito politico infuocato sulla legge che prevede l’obbligo delle telecamere nelle classi, il tema della sicurezza dei più fragili sembra non poter essere rimandato oltre.

Prima la cronaca. Dopo Salerno e, appena tre giorni fa, Roma, stavolta l’orrore è andato in onda a Cassino. Dove bimbi di 4 o 5 anni venivano umiliati sistematicamente con spintoni, urla, violenze da due maestre, una di 54 e una di 63 anni. Gli agenti hanno cominciato a indagare dopo il racconto dei genitori di un bambino. E hanno scoperto l’inenarrabile: quasi quotidianamente i piccoli venivano spintonati, strattonati, trascinati con forza da una parte all’altra della stanza. Le maestre li percuotevano con schiaffi alla testa, li costringevano a rimanere con il capo riverso sul banco. Ci sarebbero state anche minacce verbali, con espressioni come 'Ti faccio cadere tutti i denti'. Per le due donne è scattata la sospensione dall’esercizio di pubblico ufficio di insegnante. Stessa misura per un’altra maestra a Roma, in una scuola dell’infanzia in periferia, sospesa sempre ieri perché «vessava psicologicamente e fisicamente» i bimbi.

Per interrompere la catena dei maltrattamenti, che già negli anni scorsi ha registrato episodi clamorosi, esiste ed è stata approvata alla Camera (già due volte a dire il vero, una anche nella legislatura precedente) una legge sulla videosorveglianza negli asili e nei luoghi di cura. Di cui si è iniziato proprio ieri a discutere in Commissione Affari costituzionali al Senato e che tenta di arginare, o almeno di prevenire, il dilagare del fenomeno. Nella proposta, in particolare, si parla di «videocamere a circuito chiuso » le cui registrazioni saranno «visibili, dopo denuncia, solo dalle forze di polizia». Le telecamere non dovranno essere fornite «di dispositivi di comunicazione con risorse esterne» e sarà il Garante per la protezione dei dati a definire le garanzie di sicurezza da assicurare. Infine, per i primi tre anni a partire dal 2018, si prevede un «fondo sperimentale» di 5 milioni di euro destinato anche alla formazione del personale.

Tutti «obiettivi di civiltà» secondo la prima firmataria del testo, la deputata di Forza Italia Annagrazia Calabria, e però anche «tutti di difficile realizzazione» sottolinea in queste ore la sua collega al Senato Gabriella Giammanco, relatrice della proposta di legge e vicecapogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama: «Purtroppo il testo su cui stiamo lavorando è stato molto depotenziato rispetto alla proposta di legge originaria. Destina poche risorse alle strutture pubbliche per l’installazione di sistemi di videosorveglianza, privilegiando la formazione, e non introduce alcun obbligo per queste strutture ma concede loro solo la possibilità di dotarsi di videocamere» ha spiegato la senatrice, ammettendo le “falle” della norma. Che proprio nell’attenzione alla formazione del personale segna, tuttavia, un punto positivo rispetto alla mera soluzione “tecnica” della videosorveglianza.

Dall’altra parte resta compatto, da sempre, il fronte degli educatori e dei sindacati. «Siamo fermamente contrari» ricordava proprio in occasione dell’approvazione della legge il segretario della Fism, la Federazione delle scuole materne non statali. «La scuola dell’infanzia ha un compito prettamente educativo – sottolinea – e si fonda sul rapporto di fiducia con le famiglie. Un’alleanza educativa che le telecamere rischiano di compromettere». «Chi si rende responsabile di comportamenti incompatibili col profilo di educatore va allontanato dalla scuola, ma non si adottino sistemi da grande fratello, è un rimedio peggiore del male – gli fa eco la segretaria generale della Cisl Scuola, Maddalena Gissi –. Casi che restano comunque molto limitati non giustificano un clima di generale diffidenza verso la scuola».

E da sempre sul tavolo, senza tentativi di soluzione da parte del mondo della scuola, c’è il problema del burnout degli insegnanti, con l’importanza della tutela della salute dei docenti (nell’82% dei casi le inidoneità certificate dalle commissioni mediche hanno una diagnosi psichiatrica) e del monitoraggio della loro reale abilità all’insegnamento. Un tema cui la legge che dovrebbe cambiare gli asili non fa alcun cenno.

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