venerdì 18 gennaio 2013
In vigore la legge sui compensi. Entro tre mesi saranno fissati i minimi. La norma, approvata a fine 2012, prevede la creazione di un albo dei giornali Chi non rispetterà i livelli di remunerazione fissati perderà il diritto a ricevere qualsiasi contributo pubblico.
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Giornalisti si cambia. Almeno per collaboratori e free lance. Oggi, infatti, entra in vigore la legge sull’equo compenso, approvata lo scorso 31 dicembre. Una norma attesa da anni per cercare di mettere delle regole a un vero e proprio far west al ribasso, con articoli pagati anche poco più di un euro e dopo mesi, come denunciava la relazione di accompagnamento alla proposta di legge poi approvata a larghissima maggioranza.L’intenzione è di arrivare finalmente a un tariffario certo per chi non lavora come dipendente di una testata. E sono previste anche penalizzazioni economiche per giornali o tv che non lo rispettano.L’articolo 1 della norma spiega che per «equo compenso» si intende la corresponsione di una remunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Una norma che riprende quasi letteralmente l’articolo 36 della Costituzione. Per concretizzarla l’articolo 2 prescrive l’istituzione, entro 30 giorni, di una Commissione, composta di sette membri – rappresentanti dei ministeri, dei giornalisti e degli editori e presieduta dal sottosegretario all’Editoria – che entro due mesi dovrà stabilire l’equo compenso. Nello stesso termine deve redigere un elenco, costantemente aggiornato, delle varie testate che garantiscono il rispetto della norma. La mancata iscrizione in tale elenco per un periodo superiore a sei mesi comporta la "decadenza dall’accesso" ai contributi in favore dell’editoria. Sia quelli diretti che indiretti.Regole molto nette, e penalizzazioni severe, che sicuramente andranno applicate in modo equilibrato, come spiega Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti. «Certo non si può pretendere che il compenso per un piccolo giornale sia uguale a quello di uno grande, sarebbe una vessazione. Bisogna trovare un equilibrio ma rivendichiamo la nostra dignità. Ma non si può tollerare che un giornalista sia pagato meno di una colf». Anzi, aggiunge senza tanti giri di parole, «certi editori fanno del vero e proprio terrorismo dicendo che se saranno costretti ad applicare l’equo compenso dovranno chiudere. Ma oggi invece approfittano delle condizioni di bisogno di alcuni colleghi che pur di mantenere la famiglia si devono accontentare di 800 euro al mese». Insomma, taglia corto, «questa legge è la fine di una sorta di schiavitù. E l’elenco sarà la certificazione che l’editore è una persona per bene». Analoga la riflessione di Franco Siddi, segretario dell’Fnsi, il sindacato unitario dei giornalisti. «È finito il tempo dello sfruttamento. Ma c’è voluta una legge per riaffermare un diritto naturale». Ora, però, avverte, «tocca allo Stato dimostrare che non si tratta solo di un esercizio normativo. Per questo la Commissione deve partire subito e non limitarsi ad essere una cassa di compensazione del lavoro mal pagato». E «tocca agli editori fare una riflessione matura sulle relazioni contrattuali». Servirà «grande equità e grande equilibrio, evitando rischi di polverizzazione e tenendo conto di un sistema industriale dell’informazione in grande difficoltà».Evitando per i giornalisti precari «il mercato delle illusioni» ma ricordando che «da oggi in poi la parola free non vuol dire più gratis ma davvero libero».
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