giovedì 20 febbraio 2014
​L'edificio rovinò durante il terremoto che devastò l'Aquila il 6 aprile 2009. Tredici persone restarono uccise. Per il giudice ci furono serie irregolarità nella progettazione.
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I nodi del dolore arrivano al pettine anche in tribunale. All'Aquila il giudice, Giuseppe Grieco, ha condannato a tre anni e sei mesi di reclusione l'ingegnere Fabrizio Cimino, accusato di omicidio colposo plurimo e lesioni per il crollo della palazzina di via Gabriele d'Annunzio. La struttura rovinò a causa del sisma del 6 aprile 2009 e 13 persone persero la vita. Assolto, invece, l'altro imputato Fernando Melaragno, come chiesto anche dall'accusa. Si tratta di uno dei filoni più dolorosi delle maxi inchieste aperte dalla Procura della Repubblica dell'Aquila per i lutti del post sisma. Entrambi sono finiti sotto processo perché accusati di avere commesso errori nella ristrutturazione del palazzo avvenuta sette anni prima del terremoto. A pesare sulla condanna, in particolare, la perizia affidata dal giudice al docente di Scienza delle costruzioni del Politecnico di Milano Gabriella Mulas, già autrice nell'altro processo sul crollo della Casa dello Studente. Secondo l'accusa se Cimino avesse esaminato il progetto originario del palazzo, viziato da gravi errori di progettazione e vulnerabilità, avrebbe scongiurato la morte di quelle vittime del sisma. Tra l'altro per il pm l'imputato non ha consegnato il progetto al Genio Civile, che in teoria avrebbe potuto disporre un collaudo. Intanto va ancora avanti in parallelo il processo-bis a un altro imputato, Filippo Impicciatore, 82 anni, di Perano, Chieti, che si è occupato della costruzione originaria nel 1961. All'uomo vengono addebitate le stesse accuse, ma le notifiche in Venezuela, dove vive, hanno ritardato il procedimento e spinto il giudice a separare i filoni processuali.
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