Per il terzo anno consecutivo, il Primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, lancia il suo grido di allarme e «amarezza» per la «drammatica» situazione delle carceri italiane - dove ci sono 18.661 detenuti in «esubero» rispetto ai posti effettivamente disponibili nelle strutture - e ricorda che l'ultima condanna per violazione dei diritti umani, emessa questo mese dalla Corte europea dei diritti umani, ordina all'Italia di trovare una soluzione adeguata entro un anno. Inoltre, sottolinea Lupo durante il discorso di inaugurazione dell'anno giudiziario, sono troppo pochi i permessi premio concessi ai detenuti: nel 2012 solamente 25.275, mentre questi benefici rappresentano «il primo passo del percorso di reinserimento sociale». Nonostante gli interventi che il governo «è riuscito faticosamente a realizzare», rileva Lupo che sono ancora troppi i 65.701 detenuti reclusi e c'è troppo ricorso alla custodia cautelare.Lupo chiede poi ai magistrati di fare un minore ricorso alla carcerazione delle persone arrestate o indagate eutilizzare maggiormente le misure alternative alla detenzione in carcere, perchè è la stessa Corte europea che dà questa indicazione. «Occorre rilanciare su questi temi l'impegno e la responsabilità di tutti gli organi giudiziari, senza limitarci a sollecitare l'azione del Governo e del Parlamento», esorta Lupo.Ma non c'è solo la drammatica situazione delle carceri al centro del discorso di Lupo: «Il quadro della giustizia penale di quest'ultimo anno ripropone i più rilevanti aspetti di negatività tracciati nelle precedenti Relazioni», sottolinea. Tra questi la lentezza - 900 giorni per un processo di appello - e il rischio prescrizione (128mila procedimenti prescritti nell'ultimo anno). Per quanto riguarda il penale, il solo dato positivo è la diminuzione (3.1%) dei procedimenti iscritti relativi ad autori noti (a 3.271.301). Ma aumenta la media dei tempi di definizione dei procedimenti penali per i giudici di pace (da 233 a 265 giorni) e per i tribunali ordinari (da 329 a 357 giorni). Mentre sono oltre cinque milioni i procedimenti civili pendenti.La situazione complessivamente più critica dell'intero sistema giudiziario rimane quella delle corti di appello, «in cui il procedimento penale dura mediamente intorno ai 900 giorni, tempi di definizione assolutamente incompatibili con i parametri indicati dalla Corte di Strasburgo», denuncia Lupo.
«Cassazione sotto assedio»La situazione è particolarmente drammatica in Cassazione, che «vive sotto assedio» e i magistrati sono chiamati a un enorme lavoro - smaltiscono, tra civile e penale, più di 81mila procedimenti l'anno - che non ha pari nelle altre corti di legittimità europee. Lupo ritiene, inoltre, «intollerabile» per il «corretto funzionamento della Corte», la scopertura dei consiglieri che in Cassazione è del 24%, con 226 magistrati in servizio quandola pianta organica ne prevede 303. «Devo sottolineare con forza che 29.128 ricorsi civili e 52.342 ricorsi penali pervenuti nel 2012 rappresentano drammaticamente la realtà di una Corte di Cassazione ridotta a una macchina di produzione di sentenze».“Sfoltire” le fattispecie di reatoIl Primo presidente di Cassazione chiede poi uno «sfoltimento» delle fattispecie di reato che, nel nostro ordinamento penitenziario, ammontano a 35mila. Occorre diminuirle, sottolinea Lupo, se si vuole una giustizia che funzioni meglio. «Lo sfoltimento delle fattispecie di reato, che secondo una indicazione di fonte non ufficiale (il Rapporto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muizniek, dello scorso 19 settembre) raggiungono l'incredibile numero di 35 mila, che anno dopo anno si accresce, rappresenta un obiettivo non eludibile», afferma il Primo presidente. Per questo Lupo apprezza l'iniziativa del Guardasigilli che ha insediato una commissione di studio per la depenalizzazione.Nell'ampia relazione, Ernesto Lupo ha poi evidenziato che la partecipazione dei magistrati alla vita politico-parlamentare ha «ricadute pubbliche che rischiano di coinvolgere la stessa credibilità della giurisdizione». Da qui il suo appello «nella perdurante carenza della legge» di introdurre «attraverso il codice etico quella disciplina più rigorosa da tante parte anche recentemente auspicata, sulla partecipazione dei magistrati alla vita politica parlamentare che in decenni il legislatore non è riuscito ad approvare, nonostante l'evidente necessità di impedire almeno candidature nei luoghi in cui è stata esercitata l'attività giudiziaria e di inibire il rientro, a cessazione del mandato parlamentare, nel luogo in cui si è stati eletti».
Sulle toghe in politica, Lupo ha sottolineato che «occorrerà inevitabilmente confrontarsi con le più allertate sensibilità collettive, in tema di imparzialità o in materia di partecipazione dei magistrati alla vita politico-parlamentare, verso comportamenti, prese di posizione, scelte individuali, pur formalmente legittimi che -avverte Lupo- hanno ricadute pubbliche che rischiano di coinvolgere la stessa credibilità della giurisdizione».