Il 22 gennaio scorso Avvenire decideva di pubblicare in prima pagina la tenerissima foto di due bambini di otto anni, ammalati di cancro e ricoverati in un ospedale di Napoli. Nella foto M. dona alla piccola A. uno spicchio del suo mandarino. Un gesto stupendo che avrebbe dovuto intenerire i cuori e far nascere tante domande. Invece quella foto mi è costata non poche critiche. Siamo stati accusati, i volontari dei nostri comitati e io, di strumentalizzare il dolore degli innocenti. Non è la prima volta, e non me la sono presa più di tanto, so bene che ogni scelta comporta rischi e opportunità. La domanda che tutti siamo chiamati a porci davanti a una decisione da prendere non può che essere: «Perché lo faccio? Cosa cerco? Cosa voglio?». Sono passati poco più di settant’anni da quando tanti Paesi della nostra vecchia, cara Europa si ritrovarono a toccare il fondo più oscuro della cattiveria umana. Oggi i giovani, smarriti e increduli, ci chiedono: «Ma come fu possibile?». La Giornata della memoria celebrata martedì deve trovare sempre più spazio nella nostra società che tanto facilmente tende a dimenticare. Ma dimenticare non si può, non si deve. Quelle nefandezze indegne di un essere umano furono possibili perché mentre i cattivi mostravano il loro volto, brutto come la peste e nero come la notte, tanti buoni, per un motivo o per un altro, tacquero. Il coraggio, è vero, uno non se lo può dare. Però. Oggi stiamo ancora a fare i conti con un passato che si impone e ci fa male. Un passato che non dovrà mai passare. Le vignette satiriche con l’ebreo dal naso adunco e le dita ad artiglio mi fanno più male di una picconata in testa. Imparino qualcosa i difensori a spada tratta del diritto assoluto della libertà di espressione. E mentre gonfiamo gli occhi nel vedere bambini maltrattati, straziati, lasciati morire di fame e di tristezza nei campi di sterminio ieri, non vogliamo distogliere lo sguardo e l’attenzione dai bambini torturati oggi, abortiti o, addirittura, nati vivi in certi Paesi che pur si dicono democratici e civili, e poi uccisi senza pietà e senza correre rischi, solo perché la legge del luogo permette tali scempi. Non vogliamo continuare a peccare di indifferenza come tante altre volte. Non vogliamo che domani i nostri figli rimproverandoci debbano chiederci, magari da un letto di ospedale: «E voi? Dove eravate voi? Voi che dite di aver messo nello zaino della vita la croce, il Vangelo, la Costituzione, che vi vantate di discendere dal secolo dei lumi?».
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Noi non vogliamo fingere di non vedere. Crediamo che sia nostro dovere parlare, e lo facciamo assumendocene tutta la responsabilità. Una settimana dopo la pubblicazione della foto di A. e M., dallo stesso reparto sono volati in cielo i loro piccoli amici, L. e G., 5 e 6 anni. Cancro, sempre cancro. È bene lasciarle nell’oblio queste storie di sofferenza e di morte o, invece, è meglio gridare al mondo la vergognosa realtà della «Terra dei fuochi» perché qualcosa cambi? Lo scandalo consiste nel mostrare il volto di un bambino alle prese con la chemioterapia o nel tacere che questi innocenti stanno pagando un prezzo altissimo per i peccati e le omissioni altrui? Un’amica giornalista, volontaria, da quell’ospedale scrive: «Oggi vi voglio raccontare la storia di un innocente amore tra due bambini. Due angeli allegri, sorridenti e vivaci che non si sono incontrati in un parco giochi ma nella corsia di un reparto oncologico. Malgrado il mostro, i due bambini non hanno mai smesso di sorridere, anche quando i loro capelli cadevano e i loro corpi si trasformavano a causa delle chemioterapie... Il loro legame si stringeva sempre più, fino a quando un giorno, G. ha regalato alla piccola L. un anello promettendole che, da grandi, sarebbero stati felici insieme lontano dai letti di ospedale, dai martirii e dalle torture che stavano subendo. Ma mentre il loro amore cresceva, anche il mostro si ingigantiva. Due giorni fa si è portato via G., oggi L.». Se taceremo noi, grideranno i sassi delle strade.