sabato 5 gennaio 2013
Tra Lazio e Campania troppe situazioni ad alto rischio. Nel Viterbese l’ultima deroga è scaduta il 31 dicembre Fuori legge anche tanti altri Comuni tra Nord e Sud Rimane l’incubo della «terra dei fuochi» tra Napoli e Caserta dove la falda potrebbe essere stata compromessa. (di Laura Silvia Battaglia)
L'ESPERTO La potabilità è equilibrio, purezza, sapore
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​Per il momento si potrebbero accontentare di vedere la bolletta dimezzata o di un rimborso morale. Ma per i residenti dei Comuni del Lazio serviti da acque potabili con alti livelli di arsenico, nessun risarcimento vale quanto la necessità di metter fine a una storia infinita. Una storia che si prolunga dal 2003 e che, deroga dopo deroga, non è approdata a nessuna soluzione immediata. In Italia, la certificazione di pericolosità definitiva si è avuta con uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità iniziato nel novembre 2010 per valutare gli effetti dell’esposizione a lungo termine all’arsenico inorganico, compresa l’esposizione alimentare. Il risultato: già solo nei campioni di acqua prelevata per la cucina, la concentrazione media di arsenico presente è pari a 16,6 microgrammi a litro, quasi 10 microgrammi in più. Valori nettamente superiori anche alle valutazoni dell’Efsa, l’autorità europea sulla sicurezza alimentare. Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente, denuncia il fatto che «dal 1 gennaio molte famiglie di circa 50 Comuni non possono più utilizzare l’acqua del rubinetto di casa e delle fontanelle pubbliche». La situazione è particolarmene critica nel Viterbese. L’ultima deroga consentita è scaduta lo scorso 31 dicembre e i lavori di adeguamento probabilmente non termineranno prima del 2014. «I sindaci dei Comuni interessati – spiega Zampetti – hanno dovuto emettere delle ordinanze di divieto dell’uso dell’acqua. Il Lazio è l’unica regione che non è riuscita a rientrare nei parametri europei stabiliti per queste sostanze, non avendo investito nei potabilizzatori. Ora i cittadini saranno costretti ad andare a prendere l’acqua da autobotti, non potendo usare quella di casa per cucinare o lavarsi i denti. E anche le aziende alimentari saranno colpite». L’elenco dei Comuni italiani interessati da questo problema si trovava già in un documento redatto dalla Commissione Europea nel 2010 (28 ottobre) e che concedeva una terza deroga a chi ne avesse fatto richiesta. In testa il comune di Aprilia e, a seguire, molti comuni di Roma e della provincia di Viterbo, sei Comuni lombardi (Bassano Brescian, Cava Manara, Gambolò, Introzzo, Sueglio e San Gervasio Bresciano), e parecchi altri in Toscana e in Campania. La terza deroga fissava a valore massimo di arsenico i 50 microgrammi a litro, ma sarebbe stata l’ultima.Consiglia Salvo, co-referente de coordinamento campano di gestione pubblica dell’acqua, ricorda che la situazione che oggi tocca ai cittadini laziali, alcuni Comuni campani l’hanno vissuta qualche anno fa. Nel 2007 San Giorgio a Cremano, restò più di 15 giorni senz’acqua a causa della scadenza delle deroghe comunitarie. «Oggi - sottolinea Consiglia - non ci sentiamo tranquilli, soprattutto per chi vive nella frazione di Tossici, in provincia di Nola, e in quello che noi chiamiamo il triangolo dell morte o Terra dei fuochi dove si continuano a bruciare i rifiuti tossici provenienti da tutta Italia». Ma le direttive Ue sono state ignorate più in Lazio che in Campania. Così la presenza di arsenico nelle falde acquifere della sorgente Cisterna, vicino Aprilia, ha davanti solo due soluzioni, entrambe piuttosto costose. Alberto Del Monaco, rappresentante del comitato cittadino locale per l’acqua pubblica, studia da anni l’evolversi della situazione: «Si stanno tentando due strade. La prima: trasferire a 40km lontano da Cisterna, sulla sorgente Ninfa, un’altra condotta idrica. La seconda che sembra quella più vicina nel tempo: impiantare un de-arsinicatore vale a dire una complessa macchina che ripulisce l’acqua dall’arsenico». I costi previsti sono 3milioni di euro per una capacità di servizio su 60mila abitanti. I costi di mantenimento full service si aggirano per tre anni su 2milioni e 160 mila euro l’anno, come recita il documento presentato in gara. «Ci chiediamo: perchè questi colpevoli ritardi? Perchè la commissione europea ha agito solo alla terza deroga disattesa?».
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