lunedì 10 giugno 2024
L’ufficiale afghano, comandante delle forze speciali, vive da rifugiato in Italia dall'agosto 2021 con la moglie e 5 figli e altri 2 fratelli. Ma ora per lui il programma di assistenza è finito
Aijad M. con la divisa storica dell'Accademia di Modena, dove si è addestrato per anni

Aijad M. con la divisa storica dell'Accademia di Modena, dove si è addestrato per anni - Aijad M.

COMMENTA E CONDIVIDI

La grande fuga degli occidentali dall’Afghanistan, dopo vent’anni di occupazione, si consumò in pochi giorni, a metà agosto 2021. Mentre Kabul cadeva nella mani dei taleban, le forze dell’Alleanza abbandonarono la popolazione e il Paese a sé stessi. Migliaia di persone riuscirono drammaticamente a salire sugli aerei messi a disposizione dai governi dei Paesi Nato. Per l’Italia fu organizzata l’operazione Aquila Omnia: entrarono nel Paese 5.300 persone, la maggior parte delle quali lavoratori che collaboravano con le forze occidentali: oltre ai militari, addetti alla logistica, interpreti, ma anche giudici, avvocati, giornalisti, docenti nelle università straniere e funzionari delle organizzazioni internazionali. Per loro fu attivato un programma straordinario di accoglienza, in massima parte attraverso la Rete Sai, gestita dal ministero dell’Interno con i Comuni, che si avvalsero di decine di associazioni per l’accoglienza, la formazione linguistica e professionale. I programmi in generale hanno la durata di due anni, con verifiche semestrali, quindi ad oggi quasi tutti coloro che sono arrivati nel 2021 sono fuori dal sistema di assistenza. Lo scoglio più grande è dato dal mancato riconoscimento dei titoli di studio: decine di professionisti, ad esempio i medici, non hanno alcuna possibilità di esercitare il lavoro per il quale hanno studiato in patria. Anche la disponibilità di una casa rimane un grosso ostacolo sulla strada dell’integrazione. La famiglia di Aijad M. - tre fratelli, le loro rispettive moglie e i loro figli, una cognata vedova con un neonato e i due genitori anziani, in tutto 18 persone, di cui due bimbi nati in Italia - vivono a Sestri Levante dopo essere stati evacuati d’urgenza nell’agosto 2021. Aijad e i suoi familiari hanno trascorso un periodo di quarantena in una base militare a Sulmona per essere poi trasferiti in Liguria, prima in una colonia di un istituto religioso e poi nelle case popolari, nell’ambito del Sistema di assistenza e integrazione (Sai). I componenti della famiglia hanno ricevuto lo status di rifugiati politici, godendo quindi dell’asilo e di un supporto economico e abitativo per due anni.

Pensa spesso al suo Afghanistan, Aijad. Non più, o non solo, ai taleban che negli ultimi giorni gli davano la caccia fin nei fossi, non più, o non solo, ai cadaveri smembrati tra i quali gli è capitato di dover passare, non più o non solo a uno dei suoi fratelli decapitato nei giorni orribili dell’avanzata degli integralisti verso la capitale Kabul. Ma all’Afghanistan dolce delle montagne, della grande casa con il vasto giardino, dei numerosi fratelli, delle decine di piccoli nipoti. Al Paese dal quale ha dovuto fuggire, pena la vita, ma dove viveva da privilegiato e dove in fondo sogna di tornare prima o poi, per non sentirsi più negletto in Italia.

Aijad M. ha solo 34 anni ma ha vissuto due vite. Nella sua prima vita è stato un ufficiale delle forze speciali afghane; il battaglione di 750 uomini che comandava affiancava a volto coperto i soldati della Nato, italiani compresi, nei compiti più difficili: il recupero di persone finite nelle mani dei guerriglieri, la ricerca di sopravvissuti dopo un agguato nelle zone più impervie. Quei soldati conoscevano la lingua, i posti, le persone, sapevano come agire.

La vita di oggi è ancora tutta da costruire: evacuato con la moglie, i quattro figli, due fratelli con le rispettive mogli e bambini, i genitori anziani e una cognata vedova incinta, il 15 agosto 2021 nelle convulse ore della presa di Kabul, il colonnello afghano da quasi tre anni vive a Sestri Levante, nell’area metropolitana di Genova, ma la sua condizione e quella dei familiari è ancora di piena emergenza. Presi in carico dal Sai, il Sistema di accoglienza e integrazione gestito dai Comuni italiani (Anci) e dal ministero dell’Interno, all’inizio di giugno il programma di protezione è scaduto e l’amministrazione locale ha invitato le tre famiglie – in tutto 18 persone, compresi due bimbi nati in Italia – a lasciare i rispettivi alloggi popolari in cui vivono, in diversi edifici alla periferia di Sestri Levante.

Aijad, un’altezza di due metri e un fisico atletico, mostra i cartoni che gli sono stati recapitati per imballare le sue cose, accatastati in un angolo dell’appartamento, modesto ma ordinato e pulito. La moglie e i figli, quattro femmine e un maschio, vestono gli abiti tradizionali afghani, lunghi e coloratissimi. «Dobbiamo molto all’Italia, i miei bambini vanno a scuola qui e si trovano bene, abbiamo medici per curarci e fino a maggio abbiamo avuto un aiuto economico - spiega Aijad, seduto al tavolo del piccolo salotto che funge anche da cucina -. Ma se ci mandano via di qui, dove andiamo?».

L’ufficiale gode dell’asilo politico, tra qualche anno potrà chiedere l’agognata cittadinanza italiana, ma al momento il futuro è ancora un’ombra scura.

Aijad in Afghanistan, nella provincia di Paktia, a sud-est di Kabul e al confine con il Pakistan, aveva un’esistenza attiva, un ruolo sociale di prestigio e uno stipendio che consentiva alla sua famiglia una vita agiata. Il suo curriculum comprende anche 5 anni di addestramento in Italia, all’Accademia di Modena, poi alle scuole militari di Torino, Aosta e Cesano. «In questi mesi ho lavorato nella security di negozi, come buttafuori in discoteca, anche a Torino e in tutta la Liguria – racconta in un italiano perfetto -. Ma solo a chiamata, senza una busta paga, che invece tutti mi chiedono quando mi presento a cercare casa».

Lo sfratto le fa paura, Aijad? «Ho fatto la guerra. No, non ho paura. Ma vorrei che l’Italia mi consentisse di restare in questo alloggio per un altro paio di anni, il tempo di rimettermi in piedi», dice. L’ultima missione che l’ufficiale ha svolto in Afghanistan è stato il salvataggio, a Ghazni, di un gruppo di poliziotti europei e di due giornalisti spagnoli: erano rimasti intrappolati in una gola, accerchiati da una banda di taleban, con i quali avevano ingaggiato uno scontro a fuoco. Aijad riuscì a intervenire, arrivando con le sue truppe scelte in elicottero e neutralizzando i miliziani. Uscì dalla battaglia ferito a una gamba. Era il luglio 2021. Sulla sua testa i taleban avevano messo una taglia, quindi il suo nome fu inserito nella lista di evacuazione urgente.

La sua famiglia da Paktia lo raggiunse a Kabul, tutti si nascosero finché non arrivò il momento di salire sull’aereo che li avrebbe portati in salvo in Italia, dove arrivarono il 18 agosto 2021 insieme ad altre centinaia di collaboratori degli occidentali – militari, ma anche interpreti, dipendenti di imprese e Ong straniere, giudici, giornalisti - la cui vita era in pericolo in patria.

Accanto ad Aijad, nel salottino di Sestri Levante, c’è il fratello maggiore, Mohammad H.. Ha 38 anni, una laurea in Economia, e una storia analoga: in Afghanistan era un direttore dei servizi segreti, anche lui un curriculum lunghissimo, composto anche da corsi di formazione post universitaria negli Stati Uniti, in India e in Gran Bretagna. Mohammad ha due gemelli di 11 anni e due bimbe di 7 e 4 anni. « La più grande studia tantissimo, vuole diventare dottoressa – dice in un inglese fluente, accanto alla moglie che ha preparato un piccolo rinfresco afghano –. Chissà se riuscirà a realizzare il suo desiderio. Se fossimo rimasti in Afghanistan non avrebbe nemmeno potuto sognarlo».

Il programma di sostegno per i rifugiati in cui Mohammad, come i suoi fratelli, è inserito, negli ultimi due anni gli ha consentito di seguire corsi di cucina. «Al termine ho sostenuto cinque colloqui – racconta, sconsolato – ma non mi hanno preso. Hanno preferito ragazzi molto giovani, che potevano pagare meno».

Questa è l’amara realtà della seconda vita di Mohammad e di Aijad: con le loro qualifiche potrebbero aspirare ad altro, ma non vengono assunti neppure nelle cucine di un fast food. Aijad ora è in prova in una cooperativa che spazza le strade di Sestri Levante e spera che sia l’occasione giusta per raddrizzare la sorte.

La storia dei 3 fratelli non è isolata, ma è emblematica. In Italia sono arrivati 5.300 cittadini afghani che a vario titolo hanno affiancato i Paesi della Nato nel tentativo di imporre la democrazia nel Paese asiatico. «Molti si sono poi trasferiti nel Nord Europa, dove sanno che l’inserimento è più guidato», afferma Filippo Miraglia, portavoce del network Tavolo Asilo e Immigrazione.

«Per molti rifugiati afghani – aggiunge Livia Maurizi, responsabile progetti di Nove Caring Humans - abbiamo dovuto organizzare percorsi di assistenza psicologica anche lunghi, nel tentativo di gestire il loro burnout: medici assunti temporaneamente come portantini; insegnanti o magistrate come donne delle pulizie. Per tutti il problema più difficile resta quello della casa: nessuno affitta appartamenti a rifugiati, e stranieri, specie in assenza di contratti a tempo indeterminato e garanzie. Ciò che come Ong tentiamo di offrire. Serve più tempo, servono percorsi di accoglienza e integrazione capaci di rispondere alle necessità complesse di queste persone».

Il Comune di Sestri Levante, interpellato da Avvenire, conferma di essere obbligato a sfrattare i tre fratelli dalle case popolari, ma insieme all’invio degli scatoloni da imballaggio, dichiara di aver richiesto un parere urgente al ministero dell’Interno per un prolungamento del programma di assistenza.

Resta una osservazione: in altri Paesi i militari afghani che avevano collaborato con la Difesa sono stati inseriti nelle Forze armate, in qualità di esperti o analisti. In Italia questo non è avvenuto. C’è da chiedersi come mai l’esperienza maturata al fianco delle nostre Forze armate in Afghanistan e i precedenti studi in Italia di Aijad (e non solo) non suggeriscano una scelta analoga anche da noi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: