Non è in corso un «negoziato» ma una «interlocuzione preliminare» a seguito di «una manifestazione di interesse spontanea da parte di un soggetto interessato ad Agi». Nel pomeriggio di ieri un portavoce dell’Eni è intervenuto sull’ipotesi di vendita dell’agenzia di informazione Italia, la seconda per diffusione nel Paese. Il promesso acquirente non viene citato ma si tratta del gruppo di Antonio Angelucci, deputato della Lega, editore e magnate della sanità privata.
Il caso Agi sta scuotendo non solo il mondo dell’informazione ma anche e soprattutto quello politico. Perché Angelucci è già proprietario di tre quotidiani: i milanesi "Il Giornale" e "Libero" e il romano "Il Tempo". E si tratta di giornali apertamente schierati con la destra al governo. Ora entrerebbe anche nel circuito delle agenzie, rilevando quell'Agi che, peraltro, fino a un anno fa era diretta da Mario Sechi, che la lasciò per l'ufficio stampa di Palazzo Chigi (e ora dirige Libero). E anche perché l’Eni non è un’editore tra i tanti ma il più grande gruppo pubblico italiano, controllato dal ministero dell’Economia.
I primi a preoccuparsi sono stati i quasi 70 giornalisti dell’Agi che a fronte delle indiscrezioni sul futuro della loro testata hanno proclamato due giornate di sciopero (è in corso in queste ore) del pacchetto di cinque giorni affidato dall’assemblea al Cdr, l’organismo sindacale interno. La redazione, spalleggiata dalla Fnsi, chiede «chiarezza sul futuro dell’agenzia», la cui «indipendenza e autonomia giornalistica sarebbero fortemente a rischio nello scenario prospettato». L’Agi, sottolineano i redattori, è «da oltre 70 anni un punto di riferimento dell’informazione italiana e ha sempre assicurato un notiziario di qualità e pluralista» e «l’Eni negli anni si è dimostrato editore capace di salvaguardare l’indipendenza» della testata. Mentre se entrasse nel network degli Angelucci, questo è il timore, l’Agi diventerebbe il principale fornitore di contenuti alle diverse testate del gruppo, politicamente molto orientate.
Si tratta ora di capire se la levata di scudi porterà a un ripensamento dell’operazione. Nelle settimane scorse, al contrario, il dossier aveva subito un’accelerazione e secondo fonti giornalistiche ci sarebbe anche una cifra attorno a cui ruota la trattativa di vendita, tra i 30 e i 40 milioni. L’Eni è un gigante internazionale dell’energia, l’editoria non è il suo core businnes, ma dall’alto dei suoi 8 miliardi e passa di utili nel 2023 non ha la stretta necessità di cedere l’Agenzia Italia. Peraltro nei mesi scorsi un accordo interno aveva posto le base per alleggerire la redazione con uscite incentivate e prepensionamenti tali da assicurare in prospettiva una maggiore solidità economica all’azienda.
La precisazione del gruppo di ieri sulla «interlocuzione preliminare» puntava a stemperare le tensioni ma non ha messo la parole fine alla possibile vendita. Il governo finora non è intervenuto nella polemica. Mentre l’opposizione mette nel mirino il possibile conflitto di interessi che lambirebbe, oltre al parlamentare leghista Angelucci anche Giancarlo Giorgetti, altro esponente della Lega, che come ministro dell’Economia rappresenta l’azionista di riferimento dell’Eni.