giovedì 24 aprile 2014
​L'Italia non ha ancora recepito le normative, a differenza di Spagna e Francia. E al Sud i magazzini del Banco alimentare sono già vuoti. La denuncia del presidente Romeo.
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Spagna e Francia ci battono ancora, stavolta assieme a Polonia e Grecia. Sono stati più bravi dell’Italia a recepire il cambio della legislazione europea e dare il via libera alla distribuzione di alimenti e altri beni necessari a combattere la povertà e lenire i disagi. Lo denunciano dalla Fondazione Banco Alimentare che dal 1989 opera in tutta Italia grazie a un esercito di volontari che distribuisce quanto raccolto nelle giornate di colletta alimentare e/o garantito da stanziamenti dell’Unione Europea. Nelle ultime settimane dalla Calabria si alza un grido di dolore e una richiesta d’aiuto, perché sono vuoti e malinconici i magazzini della sede regionale di Montalto Uffugo. Tant’è che a maggio il pacco coi beni di prima necessità destinati a più di 30mila persone nella sola provincia di Cosenza non arriverà. Perdippiù è concreto e preoccupante il pericolo che presto altri focolai si accendano in altre parti d’Italia. All’origine della mancanza di beni non c’è incapacità né tantomeno sprechi o altre carenze della catena distributiva ma la lentezza del governo nell’adeguarsi al cambiamento della normativa europea in materia. Serve un piano operativo che dia seguito a quanto deciso a Bruxelles, permettendo alle singole realtà di continuare a svolgere il loro compito di sostegno a chi ha bisogno e sollievo delle povertà. Lo denuncia il presidente del Banco alimentare calabrese, Gianni Romeo, il quale chiede aiuto alle istituzioni italiane. «Non è possibile – sottolinea – spezzare il filo di speranza per chi non arriva a fine mese, per le famiglie in difficoltà, per i poveri». Romeo sottolinea che il Banco alimentare regionale non ha nessuna intenzione di alzare bandiera bianca. Per il 14 giugno è stata già organizzata una raccolta straordinaria affinché tutti possano dare il loro contributo. Il presidente calabrese pensa anzitutto alla grande distribuzione organizzata e alle aziende agroalimentari, che possono fare molto anche in Calabria come succede al centro e al nord. Dove le conseguenze provocate dalla pigrizia legislativa nostrana sono alleviate dal sostegno garantito proprio da questi due importanti ambiti imprenditoriali che permettono d’avere meno bisogno di quanto offerto dall’Ue. Lo confermano dal vertice della Fondazione Banco Alimentare nazionale, sottolineando che la Calabria soffre la situazione più drammatica poiché la raccolta di beni attraverso l’annuale colletta alimentare è debole, perciò quasi il 90% dei prodotti distribuiti sono garantiti da ciò che è messo a disposizione dall’Unione europea. La situazione è simile nelle altre regioni del sud, mentre al settentrione l’incidenza di ciò che arriva da Bruxelles precipita, scendendo anche al 15-20%. Ecco perché in Lombardia e in Emilia Romagna i magazzini con le scorte non sono ancora vuoti e tristi come avviene tra Pollino e Aspromonte.In tutta l’Italia l’approvvigionamento dei generi s’è ufficialmente fermato il 31 dicembre 2013 con la scadenza, dopo vent’anni di onorato servizio, del progetto Pead gestito dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) che distribuiva beni non solo al Banco alimentare ma pure ad altri enti caritativi. Archiviato il Pead dal primo gennaio è attivo il Fead, formalmente attivato dalla Ue e quindi finanziato. Ma affinché sia operativo, confermano dal Banco alimentare nazionale, è necessario che gli Stati membri diano il via libera alla distribuzione degli alimenti attraverso le loro agenzie. E l’Italia, a differenza di Francia, Spagna, Polonia e Grecia, ancora non lo ha fatto.
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