Il controtenore Carlo Vistoli - Simon Pauly
Il racconto, teatralissimo, in musica, è quello della scena del Calvario. Il racconto di un dolore universale, quello di una madre che perde un figlio. « Eppure nel suo Stabat Mater Antonio Vivaldi rende quel dolore universale qualcosa di particolare. Capace di parlare a ognuno, nel qui ed ora del nostro presente». Carlo Vistoli sa che quel dolore «oggi lo vivono ancora tante donne. Ogni giorno». Ce lo racconta quotidianamente la cronaca. La guerra, la fame, la violenza. Quel dolore il controtenore romagnolo, di Lugo, classe 1987, lo sente pulsare nella pagina che Vivaldi ha scritto nel 1712 ispirandosi allo strazio di Maria che tiene tra le braccia Cristo. « Lo sento pulsare nell’Eja Mater, dove il motivo percussivo fortemente ritmico dei violini, in un passaggio dove manca completamente il basso continuo, evoca il battito del cuore, ma anche il picchiare del martello sui chiodi. Il rumore della violenza» racconta Vistoli, interprete richiestissimo, tra lirica e musica da camera, per il Barocco, ma anche per la musica contemporanea. « Il Novecento, che ha riscoperto questa vocalità, torna nei miei programmi. Ad aprile al Teatro alla Scala canterò ne Il nome della rosa di Francesco Filidei. Ma il 90% del mio repertorio resta comunque Barocco e preclassico». Cuore, lo Stabat Mater, di Sacro furore, il disco che segna il debutto di Vistoli con la storica etichetta francese Harmonia mundi. «Tutto risale ai tempi della pandemia. Avevo in programma una tournée con l’Akademie für Alte Musik di Berlino con al centro il Nisi Dominus di Vivaldi. Ma il Covid ha ridotto il lungo programma di concerti a una sola sera e per di più a porte chiuse alla Philharmonie di Essen. Abbiamo pensato, allora, di farne un disco. E di riprendere ora, con lo stesso programma di Sacro furore, quel tour mai partito».
Perché Vivaldi e perché il Vivaldi sacro, Carlo Vistoli?
Perché la sua musica, anche nelle pagine sacre, ha una forza teatrale sconvolgente. Forza che diventa spirituale. E che parla in modo sorprendente a ciascuno. Vivaldi è un autore che mi accompagna da sempre perché ho affrontato le sue cantate, ma anche i suoi titoli operistici, Orlando, L’Olimpiade e Giustino. In furore è una cantata per soprano, mai proposto con la voce di controtenore. Con l’Akademie e il suo Konzertmeister Georg Kallweit ne abbiamo fatto un trasposizione per la mia voce. E funziona benissimo. Da qui abbiamo costruito un percorso sacro che parte dallo Stabat Mater e arriva alla Sinfonia Al santo sepolcro. In mezzo il Nisi Dominus che con il suo Cum dederit, che è il cuore di questo salmo, ci porta in un’altra dimensione, quasi all’estasi con una struttura litanica, una sorta di mantra che con la sua ripetitività circolare porta ad un’astrazione. Io cerco di arrivare ad un effetto ipnotico con la voce, ma restando sempre con la testa ben agganciata alla partitura.
Quale la spiritualità di questi brani?
Universale e particolare insieme, che parla a ciascuno anche aldilà del contesto in cui queste pagine sono nate. Pagine nate per la liturgia, ma con una forte connotazione drammatica. La spiritualità della vita, che restituiamo nel nostro percorso, che è un percorso sacro con una forte connotazione teatrale. L’aspetto rappresentativo e teatrale della religione è da sempre fondamentale anche per avvicinare il popolo: chi non poteva leggeva i testi sacri apprendeva i contenuti della fede attraverso le sacre rappresentazioni, ma anche guardando i dipinti o ascoltando musica – e in quaresima, quando non si potevano eseguire melodrammi, si mettevano in scena oratori, a tema sacro, ma con una forte componente teatrale. E nella musica sacra di Vivaldi, che era anche operista, non dimentichiamolo, l’aspetto teatrale è presentissimo. Ma nel tempo, anche in incisioni storiche e musicalmente di altissimo livello, è stato messo da parte per concentrarsi solo sulla musica. Con il rischio, però, di una certa freddezza. Che in Vivaldi nelle parole della lauda di Jacopone non c’è. In Sacro furore, vista anche la mia frequentazione dei palcoscenici lirici, abbiamo voluto ritrovare questa dimensione.
Che senso ha fare un disco oggi nell’era della musica liquida?
Perché fai un disco? Sai che è una sfida persa in partenza? mi dicono alcuni amici. Posso capire l’obiezione. Ma so che c’è uno zoccolo duro di appassionati – e tra questi mi ci metto anch’io – che amano avere tra le mani l’oggetto fisico. E penso che per conquistarli occorra presentarsi sul mercato con progetti originali.
Ad esempio?
Questo disco poteva benissimo intitolarsi Vivaldi. Stabat Mater, come tanti altri dischi che presentano questo repertorio, ma ho preferito Sacro furore, anche evocando quella fiamma che anima chi fa musica. Oggi i dischi si vendono su internet, ma soprattutto dopo i concerti con il rito del firma copie che avvicina artista e pubblico.
Come spiega il moltiplicarsi dei controtenori che da alcuni anni caratterizza la musica?
In un’epoca in cui l’immagine è fondamentale anche in teatro occorre, perché la chiede il pubblico, la verosimiglianza. La vocalità del controtenore, riscoperta nel secondo Novecento e lanciata negli anni Novanta da figure come Jochen Kowalski, David Daniels e Bejun Mehta, offre l’opportunità di vedere uomini che in scena, con la loro virilità, interpretano ruoli maschili, scritti, però, per voci femminili. Questo non significa che un Giulio Cesare affidato a un mezzosoprano non vada più bene, ma se a vestire i panni del condottiero romano è un uomo il racconto registico è ancora più verosimile.