Da vent’anni è il re delle damiere italiane. Bianco o nero, per lui non fa differenza. Gioca e vince. Anche nella variante del gioco che hanno inventato gli inglesi. Nel 2013 si è seduto sul tetto del mondo superando un avversario che non perdeva da dieci anni. Un americano, tanto per cambiare. Michele Borghetti, 42 anni nel taschino, livornese per tradizione e un po’ per vocazione, è il campione di dama che l’Italia ha sempre sognato di avere. Lo chiamano Maradona, come il calciatore. Provate a batterlo, capirete perché. Nel 2017 sarà chiamato a difendere per la seconda volta il mondiale di dama inglese. Dove vuole arrivare? «Voglio difendere il titolo mondiale il più a lungo possibile per entrare nella lista dei più forti giocatori di sempre. Mi piacerebbe ripetere le imprese dell’americano Marion Tinsley, che è stato il migliore di tutti per vent’anni. È il mio campione di riferimento: sarei felice di raggiungere il suo numero di vittorie». A 16 anni e 9 mesi è diventato il maestro più giovane di sempre della dama tricolore. Chi le ha insegnato a giocare così bene? «Ho cominciato a giocare con un caro amico di famiglia, che mi ha insegnato i primi segreti. A casa mi misuravo con il babbo, un ottimo giocatore che da anni arbitra a livello internazionale. Dalle partite tra amici alle gare vere non è passato moltissimo. Fu un regalo a convincermi. L’allora segretario della Federazione, Oreste Persico, mi donò una damiera: la felicità sciolse le ultime riserve e da lì partì la mia carriera. Si può dire che se sono diventato campione del mondo, il merito è anche un po’ suo». Quanti sono i giocatori di dama nel nostro Paese? «I tesserati della Federazione sono circa cinquantamila e si può dire che negli ultimi anni le cose siano andate piuttosto bene. Il nostro movimento ha fatto passi da gigante, per numeri e risultati. All’estero, Russia e Olanda sono sopra tutti. Ma va seguito con attenzione lo sviluppo del gioco in Africa, un continente che sta producendo giocatori sempre più competitivi. Per praticare questo sport, in fondo, è sufficiente possedere una damiera, che può essere realizzata anche in modo artigianale». Tante varianti per un unico gioco. Non è un limite alla sua diffusione? «Sono convinto di sì. Questo aspetto ha influito non poco nella crescita del movimento a livello internazionale. Sia chiaro, giusto preservare e conservare le peculiarità di ogni Paese, ma finché non si troverà un punto comune definitivo sarà difficile far sì che il gioco diventi popolare». C’è chi dice che il gioco della dama non può essere considerato uno sport. Non c’è movimento, non c’è sudore. Cosa risponde? «Per giocare a dama ad alti livelli è necessaria una preparazione fisica di tutto rispetto, perché lo sforzo richiesto è enorme. Ho fatto il paracadutista per anni. Le posso dire che lo stress che provo durante una partita di dama è maggiore e non di poco rispetto a quello che provavo prima e durante un lancio. Non è affatto semplice rimanere seduti quattro o cinque ore davanti a una damiera senza perdere la concentrazione». Nel 2003 ha fatto registrare il record mondiale di gioco “alla cieca”: 17 avversari battuti in simultanea con una benda davanti agli occhi. Gioco di prestigio o abilità tecnica? «È stato faticosissimo, perché dovevo mandare a memoria tutte le mosse che facevo». È necessario un allenamento costante per rimanere ad alti livelli?«Sì, bisogna aggiornarsi continuamente, studiando le mosse degli avversari più forti e rivedendo le proprie gare per evitare di ripetere le stesse incertezze». Per lei è un’attività a tutti gli effetti, oppure no? «In Italia non c’è ancora il professionismo. Qualcosa si sta muovendo, ma da qui a dire che possa a breve diventare una professione a tutti gli effetti, ce ne passa. In Olanda e in Russia sono molto più avanti: da quelle parti, chi gioca bene a dama può mantenersi senza problemi. Piacerebbe anche a me, ma nel frattempo faccio l’agente di commercio». Nei tornei più importanti è previsto il controllo antidoping. Come è possibile alterare in modo illecito il risultato di una partita di dama? «Sinceramente, non l’ho mai capito bene neanche io. Più di una volta sono stato sottoposto a questo controllo, ma mi sono sempre chiesto quali potessero essere le sostanze che possono stravolgere l’esito di una gara. C’è un altro doping nel gioco della dama, ben più grave, quello informatico. Alcuni giocatori sono stati scoperti mentre si facevano suggerire le mosse da un computer. E c’è anche chi comunicava con una terza persona usando il codice Morse. Se vuoi barare, il sistema per farlo lo trovi sempre». Nel 2016 sarà a Rio per le Olimpiadi della mente, che si terranno dopo la conclusione dei Giochi olimpici. Crede sia possibile che un giorno la dama entri nel calendario principale della manifestazione a cinque cerchi? «Me lo auguro. Anzi, di più, ci credo. Perché sono convinto che le discipline della mente ben figurerebbero in un contesto olimpico. Sono sport pu-liti, ben più di altri che vanno per la maggiore». Come convincere un ragazzo ad avvicinarsi a questo sport? Cosa insegna? «Il nostro è uno sport vero, sano. I giocatori si danno la mano prima e dopo la gara. Perché il rispetto viene prima di tutto. E poi c’è un dato di fatto: i bambini che si avvicinano alla dama diventano studenti migliori degli altri. Perché affinano la capacità di osservazione e concentrazione».
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