Grandi manovre sono in corso nell’Universo: siamo immersi in un sistema in espansione di galassie e agglomerati di centinaia di miliardi di stelle simili alla Via Lattea – cui appartiene il Sole – che appaiono come incollate sulla superficie di un palloncino che per ora continua a gonfiarsi. Già negli anni ’20 del secolo scorso il fisico inglese Edwin Hubble ipotizzò la teoria espansionistica dell’Universo – contenuta nell’omonima legge – secondo cui, come in una pellicola in riavvolgimento a poco meno di quattordici miliardi di anni fa, tutta la materia ed energia dovevano aver avuto origine da un Big Bang iniziale. Molto più recente è, invece, la teoria che ha rappresentato il tassello mancante al puzzle cosmico. Ovvero, la velocità di espansione dell’Universo è in continuo aumento: non solo, dunque, un Universo in espansione, ma anche in accelerazione. Le due leggi concordano con le osservazioni disponibili e con il noto “modello cosmologico standard”, ruotante attorno al pilastro della relatività generale di Einstein e il cui elemento caratteristico è la presenza dominante di materia ed energia oscure, non rilevabili sotto forma di luce o altro tipo di radiazione elettromagnetica, ma entrambe necessarie: la prima per spiegare le leggi con cui osserviamo la rotazione e la formazione delle strutture cosmiche, la seconda per spiegare l’accelerazione cosmica. Questi due ingredienti “invisibili” forniscono, rispettivamente, circa il 23% e il 73% del contenuto di energia totale dell’Universo, lasciando alla materia “ordinaria”, che compone tutto ciò che è ai sensi percettibile, solo un misero (ma fondamentale) 4%. Non si è finora stati in grado di spiegare cosa costituiscano queste due componenti così massicciamente presenti. La “stranezza” di questi ingredienti pone profondi interrogativi: e se questo fosse soltanto un bel modello, capace cioè di organizzare coerentemente le osservazioni sperimentali, ma lontano dalla effettiva spiegazione fisica? Vengono in mente gli “epicicli” e i “deferenti” del modello di Tolomeo del sistema solare, fisicamente non corretto ma comunque in grado di riprodurre e prevedere i moti apparenti dei pianeti sulla volta celeste. Di contro, si potrebbe obiettare che il pianeta Nettuno, invisibile e sconosciuto, fu scoperto a partire dall’evidenza di una “massa oscura” necessaria per spiegare le discrepanze osservate sull’orbita prevista di Urano. Ai cosmologi nei prossimi dieci anni si chiederà di rispondere a quesiti fondamentali: da cosa è composta la materia oscura? E qual è l’origine dell’accelerazione cosmica? Sono due facce della stessa medaglia, di cui non comprendiamo la natura? E, soprattutto, questione capitale: le equazioni della gravitazione di Einstein, dovranno essere riviste? C’è una generale convinzione che la materia oscura sia fondamentalmente composta da particelle elementari molto massicce, relitti delle fasi primordiali dell’Universo, che potrebbero essere rivelate dall’interazione con atomi-bersaglio in rivelatori sotterranei (come l’esperimento Dama/Libra al Gran Sasso), o nelle collisioni del Large Hadron Collider (Lhc), il super-acceleratore del Cern di Ginevra alla caccia dell’ormai celebre bosone di Higgs. Riguardo all’energia oscura poi... si brancola letteralmente nel buio. Si hanno effetti rilevabili su scale grandissime, in particolare sul modo in cui l’Universo si espande. Alla fine degli anni ’90, due distinte squadre di ricercatori americani estesero il diagramma di Hubble all’Universo lontano, mostrando che circa sette miliardi di anni di anni fa la velocità di espansione era inferiore ad oggi; l’unico modo per produrre l’accelerazione attuale è che nella miscela cosmica sia presente, accanto alla materia, un campo di energia, appunto “oscura”. In termini matematici, questo si ottiene inserendo la costante cosmologica nelle equazioni della relatività generale, un termine già introdotto originariamente da Einstein per ottenere un Universo statico e poi nel 1929 abbandonato di fronte alla scoperta dell’espansione. Il significato fisico della costante cosmologica è al momento ignoto. Davanti a queste profonde difficoltà concettuali si considera un’alternativa più radicale, e cioè che la teoria di Einstein non sia perfetta quando è applicata sulle scale dell’intero Universo: in altre parole, è come se usassimo un contachilometri (la relatività generale) – ben funzionante su piccole scale – per misurare la velocità di espansione su scale grandissime, producendo così il “miraggio” dell’energia oscura. Per quanto risulti sgradevole pensare di toccare quel “mostro sacro” della teoria di Einstein, è ormai una possibilità da tenere in seria considerazione, tanto più che, se confermata, la scoperta che i neutrini possono viaggiare più veloci della luce – l’ipotesi recentemente proposta dall’esperimento del Cern e dei laboratori del Gran Sasso – avrebbe serie ripercussioni sulla teoria einsteiniana. E non va dimenticato, inoltre, come la gravità sia l’unica forza finora sfuggita a qualsiasi tentativo di “quantizzazione”, a differenza delle altre tre fondamentali presenti in natura.