La Cortina di ferro, che l’Europa sperava di aver relegato nell’archivio della storia, non è scomparsa. È cambiata, si è spostata – verso Est – ma continua a esistere, come confine interno del Vecchio Continente. Dopo il crollo del Muro di Berlino e il collasso del sistema sovietico è diventata più duttile, porosa, e si è stretta ancor più attorno alla Russia, che però da quando è guidata da Putin cerca di ridefinirne i margini. Se gli ex Paesi del Patto di Varsavia, con in più i Baltici, sono ormai rientrati stabilmente nell’orbita occidentale, la linea di faglia con l’Europa orientale continua a essere tenuta in fibrillazione da Mosca lungo il margine meridionale, dall’Ucraina al Caucaso. E i fatti ucraini di questi mesi dimostrano come la partita sia ancora aperta. Ad aiutare a comprendere i termini profondi, storici e culturali, del confine interno dell’Europa è l’ultimo saggio dello slavista Vittorio Strada, significativamente intitolato
Europe. La Russia come frontiera e in uscita per Marsilio (pagine 110, euro 14,00). «La “questione ucraina” – spiega Strada – è stata per la Russia nel corso degli ultimi due secoli una delle più acute e complesse, in quanto si collega all’identità stessa e della Russia e dell’Ucraina, oltre a interessi vitali per entrambe d’ordine geopolitico».
Che cosa c’è in gioco? «In discussione è la visione del comune passato storico, politico e culturale di questi due popoli slavo-orientali. A lungo i russi hanno pensato che si trattasse di una dinamica unitaria che si svolgeva sotto l’egida della Grande Russia sulla Piccola Russia, cioè l’Ucraina. Invece la comune matrice – l’antica Rus’ di Kiev, più di mille anni or sono – comprendeva due popoli affini, ma diversi, la cui distinta identità emerse con sempre maggior forza a partire dalla metà del XIX secolo all’interno dell’impero russo, nello spirito del nazionalismo romantico europeo. Si trattò dapprima di un’affermazione di autonomia culturale e linguistica dell’Ucraina, poi di una rivendicazione di indipendenza politica che provocò la repressione da parte dell’impero, ostile a ogni separatismo. Di qui anche l’incomprensione della cultura russa per la volontà di differenziazione ed emancipazione di quel popolo “fratello”».
Un atteggiamento differente da quello riservato ad altre nazioni dell’impero zarista, come i Paesi baltici o la Polonia? «In un certo senso la sorte dell’Ucraina è simile a quella della Polonia, anch’essa inglobata nell’impero russo e ribelle a questo dominio. Ma c’è una notevole differenza: la Polonia, prima di essere inclusa nell’impero, era stata una nazione a sé e ritornò a esserlo nel 1918, mentre l’Ucraina si costituì come nazione e come Stato per un breve periodo dopo la Prima guerra mondiale, per poi entrare di nuovo in un’entità imperiale, l’Unione Sovietica, conseguendo la sua indipendenza solo al collasso di questa una ventina d’anni fa. Se si aggiungono poi la questione religiosa – l’Ucraina, a differenza della cattolica Polonia, è ortodossa come la Russia, sia pure con la presenza della Chiesa uniate, cattolica di rito greco-ortodosso – e il lungo periodo sovietico, che a Kiev ebbe una sua connotazione complessa e tragica, si può intuire quanto intricata sia la “questione ucraina” per la Russia, ma anche quali problemi di identità si propongano per la stessa Ucraina indipendente, diventata Stato sovrano, ora dilaniato da scissioni interne e da attentati esterni».
Se è così che Mosca vede Kiev, come l’Ucraina percepisce invece se stessa? «L’Ucraina ha cercato una sua identità culturale già all’interno dell’impero russo e ha continuato a cercarla anche nell’Unione Sovietica. È naturale che questa identità si configurasse sullo sfondo della Russia, in contrapposizione alla sua egemonia culturale, ma non con ostilità. Anzi, la grandezza creativa della cultura russa è stata alimentata anche dall’Ucraina: si pensi a Nikolaj Gogol’, un classico della letteratura russa, ma ucraino di nascita e di spirito. Oggi si parla di una colonizzazione russa dell’Ucraina, come degli altri popoli dell’impero. Ma se è vero che il dominio imperiale zarista e poi comunista ha pesato su tutte le sue componenti nazionali (quella russa compresa), l’Ucraina ha dato un contributo troppo grande e troppo originale alla cultura imperiale russa per essere considerata oggetto di colonizzazione. Più complesso il discorso per il periodo sovietico, quando si costituì un nazionalismo ucraino antirusso e anticomunista nuovo rispetto a quello precedente, più radicale ed estremo, con connotazioni esplicitamente fasciste e azioni di collaborazionismo durante la Seconda guerra mondiale. È l’intera storia dell’Ucraina, dai tempi antichi a quelli più recenti, che deve essere scritta (o riscritta), e costituisce un campo di battaglia, se così si può dire, tra storici russi e ucraini. I primi restano fedeli alla loro visione nazional-imperiale, i secondi sono impegnati a costruire un’autocoscienza nazionale che nella visione storica trova il suo momento centrale. Si tratta di una politica della memoria non meno vivace della politica vera e propria».
Oggi però siamo arrivati allo scontro in armi... «La situazione si è inasprita enormemente non solo sul piano militare, ma anche su quello delle idee o, se si vuole, delle ideologie. Le due rivoluzioni arancioni, del 2004 e del 2013-2014, hanno creato una nuova realtà in Ucraina. Se la Russia con un colpo di mano si è presa la Crimea e ha favorito il separatismo della parte orientale del Paese, sul lungo termine ha però perso l’Ucraina. Formalmente le relazioni tra Mosca e Kiev si ristabiliranno, ma la rottura tra i due Paesi a lungo considerati “fratelli” difficilmente potrà essere superata. Il nazionalismo ucraino è riprovevole come ogni nazionalismo, ma non meno deleterio è il nazionalismo russo che gli si oppone e, di riflesso, lo alimenta. Forse non è esagerato considerare il conflitto russo-ucraino la maggior “catastrofe geopolitica” successiva a quella grande “catastrofe geopolitica” che per il presidente russo Putin è stato il collasso dell’Unione Sovietica. Collasso che per i popoli dell’ex impero, dall’Ucraina alla Polonia, non è stato affatto una catastrofe, ma una liberazione. Anche qui si vede come diverse, se non antitetiche, siano le visioni storiche anche nel caso di un passato assai recente. Visioni che si connettono a due diverse identità nazionali».
L’immagine che Putin cerca di dare della Russia (lo si è visto anche con le recenti Olimpiadi invernali di Soci, in particolare durante la cerimonia d’apertura) è quella di un Paese forte e coeso, portatore di una civiltà originale e di altissimo valore. Quale può essere, allora, l’obiettivo del presidente russo? «Quello che Putin e il suo staff politico-culturale vogliono costruire per la Russia, dopo la “catastrofe” che ha distrutto l’Unione Sovietica, si basa su una dichiarata unità di tutto il millenario sviluppo storico russo. Un’unità che salda periodo zarista e periodo comunista (Stalin compreso) in un’omogenea e gloriosa dinamica imperiale, che fa della Russia una civiltà a sé stante, diversa e contrapposta all’Occidente. Per l’Ucraina il crollo dell’Urss è stata l’occasione tanto attesa di indipendenza e di apertura europea. Un’occasione, a dire il vero, che la sua dirigenza politica, soprattutto quella successiva alla Rivoluzione arancione del 2004, non ha saputo cogliere, assumendosi così la grave responsabilità di un fallimento di cui il Paese sconta ora le conseguenze. Ma per l’Ucraina costruire un’adeguata identità nazionale è più difficile, data la natura etnicamente composita che la caratterizza e la vicinanza attiva e minacciosa del Grande Fratello di un tempo, oltre che per le spinte ultranazionaliste interne. Intorno a sé l’Ucraina ha un mondo estremamente complesso, pieno di tensioni e contraddizioni che non fanno pensare a un rigurgito di Guerra Fredda con le contrapposizioni ideologiche di un tempo, ma a un nuovo tipo di guerra virtuale, per lo più sotterranea. L’“Italia slava” – come i russi all’inizio dell’Ottocento, quando i due popoli sembravano costituire una sola famiglia, chiamavano l’Ucraina per la natura mite e solare rispetto alla nordica Moscovia – è una casella della scacchiera su cui si gioca la partita».