mercoledì 14 agosto 2024
Il vescovo galiziano del IX secolo è all'origine del cammino di Santiago, a Compostela. Un equipe ha analizzato alcuni resti sepolti sotto il pavimento della grande cattedrale romanica
La cattedrale di Compostela

La cattedrale di Compostela - Victoriano Izquierdo/Unsplash

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Un gruppo internazionale di ricercatori ha identificato, utilizzando nuove e sofisticate tecnologie di indagine, i resti del vescovo Teodomiro di Iria Flavia, scopritore nel IX secolo della tomba dell'apostolo San Giacomo, che decenni dopo avrebbe dato origine al pellegrinaggio alla cattedrale di Santiago de Compostela, nel nord della Spagna, uno dei principali itinerari spirituali dell'Europa medievale. Un percorso in grado ancora oggi di tenere vivo il sentimento religioso del Vecchio Continente, suscitando in chi lo effettua grandi emozioni.

L'origine del Cammino di Santiago risale al IX secolo, quando un eremita di nome Pelayo fu testimone di una pioggia di stelle che scendeva su un campo. Giunto sul posto, scoprì un'antica tomba e informò il vescovo di Iria Flavia, Teodomiro. Secondo la tradizione, trascorsero tre giorni di preghiera e digiuno finché il prelato ricevette una rivelazione in cui gli veniva detto che quello era il luogo in cui era stato sepolto l'apostolo San Giacomo insieme a due dei suoi discepoli. Fu il re Alfonso II delle Asturie, venuto a conoscenza dei fatti, a ordinare la costruzione di una chiesa sul posto dopo essere stato il primo pellegrino a recarsi nel luogo sacro, seguendo un percorso dalla città di Oviedo che ancora oggi è conosciuto come Cammino Primitivo. Ben presto molti altri pellegrini, guidati dalla fede e dalla pietà, si riversarono sul luogo, che nel corso degli anni divenne la cattedrale di Santiago de Compostela.

Nel 1955 l'archeologo spagnolo Manuel Chamoso Lamas scoprì sul pavimento della cattedrale una lapide con un'iscrizione che si riferiva al vescovo Teodomiro. Sotto di essa c'erano i resti scheletrici di quello che sembrava essere un uomo anziano. Anni dopo, una nuova valutazione delle ossa portò ad affermare che appartenevano a una donna. Dopo questo risultato la ricerca si fermò almeno fino alle rivelazioni di pochi giorni fa quando il team di ricercatori coordinati da Patxi Pérez Ramallo dell'Università norvegese di Scienza e Tecnologia, e in collaborazione con istituzioni come l'Istituto Max Planck per la Geoantropologia e l'Università di Stoccolma, ha svelato i risultati di un'analisi esaustiva dei resti ritrovati e hanno fornito nuovi e più precisi dati sull'identità del vescovo galiziano. In pratica, Pérez Ramallo ha confermato i risultati e, pur sottolineando che da un punto di vista scientifico "non ci sarà mai" una certezza assoluta sull'identificazione, ha assicurato che le possibilità che i resti corrispondano al vescovo Teodomiro sono "molto alte". La nuova ricerca scientifica costituisce "la prima analisi delle ossa che combina tecniche osteologiche e biomolecolari, con l'obiettivo di stabilire un profilo biologico dettagliato dell'individuo e di fornire nuove indicazioni sulla sua cronologia, sull'origine geografica, sulla dieta e sullo status sociale", ha spiegato ancora Pérez Ramallo.

Tra gli altri test, è stata effettuata una datazione al radiocarbonio su un frammento di costola, un'analisi del Dna e un'altra sulla stabilità degli isotopi stabili del carbonio e dell'azoto dallo smalto di un premolare inferiore. Il risultato è stato che si tratta di "un maschio adulto di corporatura gracile" di circa 45 anni, la cui datazione è coerente con la data di morte riportata sulla lapide, l'847 d.C. Dalle prove si può anche dedurre che si tratta di un individuo che viveva vicino alla costa, un fatto applicabile anche al vescovo di Iria Flavia, oggi Padrón, un comune costiero della Galizia.

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