Un sacerdote sempre al fianco degli operai e delle loro famiglie, anche se non vestì mai i panni (o per meglio dire la tuta) del prete- operaio per rimanere sempre «il prete di tutti». Un uomo capace di portare l’annuncio della fede cristiana nel mondo difficile e spesso «lontano» delle fabbriche: da quelle del modenese alla sovietica Togliattigrad di cui – per conto della Fiat e su mandato del vescovo Giuseppe Amici e della Santa Sede – fu cappellano, il primo, dal 1969 al 1973. In questo sintetico ritratto si condensa lo stile di vita e la cifra particolare del sacerdote modenese don Galasso Andreoli (1929-2005) di cui ricorre il 10 novembre il decimo anniversario della scomparsa. Un sacerdote di razza, nato a Carpi il 30 gennaio 1929, in grado – grazie alla sua saggezza semplice e al buon senso – di farsi ascoltare e così di far conoscere le istanze primarie del mondo dei «suoi» operai ai big dell’auto come l’ingegnere Enzo Ferrari (di cui fu intimo amico e direttore spirituale dal 1956 fino alla morte) o Giovanni e Umberto Agnelli. Stella polare della sua azione fu l’attenzione al mondo del lavoro: tra gli anni ’50 e ’60 divenne tra l’altro cappellano dei ferrovieri, dei netturbini, dei vigili del fuoco, della Fiatgeotech nel modenese, fino a prestare il suo ministero nelle officine Vismara e in quelle leggendarie del “cavallino rampante, la Ferrari di Maranello. «Vado in fabbrica, mandato dal vescovo – raccontava – non per rimanere solo e deresponsabilizzato, ma per suscitare, sostenere e inserire nelle parrocchie testimonianze cristiane». Emblematico del successo dello «stile» di don Galasso sarà il giudizio benevolo con cui nel 1966
La Civiltà Cattolica recensì la sua pubblicazione
Luce nel mondo del lavoro. Esperienze di un cappellano di fabbrica. E non è un caso che ancora oggi nella diocesi emiliana sono le Piccole Sorelle di Gesù Lavoratore, una congregazione religiosa fondata proprio dal sacerdote modenese, a seguire l’impronta della missione nel mondo delle fabbriche. Ma nella sua ricca e avventurosa biografia la «tappa sovietica», dal 1969 al 1973, segna una svolta. È l’incontro diretto con l’ateismo militante e con la durezza della dittatura so- prattutto nel campo dei diritti umani («Un regime che si direbbe uscito dalla fantasia di Kafka»), ma anche con la fede nascosta dei «fratelli ortodossi». «Tu devi tacere: prima, durante e dopo», è il monito con cui l’allora monsignor Agostino Casaroli della Segreteria di Stato invia in Urss il sacerdote modenese. Da quel voto di silenzio don Andreoli sarà sciolto solo nel 1988, dopo la visita di Giovanni Paolo II a Maranello, proprio da Casaroli, divenuto cardinale e segretario di Stato. Un’uscita dal silenzio che spinse il carismatico sacerdote a scrivere
Cappellano con la Fiat a Togliattigrad (edito da Golinelli). Da quell’esperienza nella città sovietica chiamata così in onore del segretario del Pci Palmiro Togliatti, scomparso nel 1964, dove ogni giorno si producevano duemila auto Žiguli (corrispondenti alle nostre Fiat 124), don Galasso apprenderà da vicino le gioie e i dolori del popolo russo ma anche l’importanza di essere un prete e una guida, l’unica, per oltre 900 operai italiani. Significativi di quegli anni in Urss dell’«emissario del Vaticano» – come lo chiamavano con sottile ironia i sovietici – furono la prima messa, fatta di nascosto in un albergo che s’affaccia sul Cremlino (con il tabernacolo portatile in camera: una scena che sembra quasi rubata al film di Luigi Comencini
Il Compagno Don Camillo...), le lezioni di catechismo e le messe domenicali sempre affollate di lavoratori, in particolare a Pasqua e a Natale, o ancora le visite ai padiglioni dello stabilimento a bordo di un Ciao Piaggio, dono personale di Umberto Agnelli. «Il bello è che molti italiani con me si dimostrano comunisti, anticlericali o laicisti: ma stuzzicati sul vivo diventano come Peppone in Russia: difensori della fede e catechisti…». Anche alla Chiesa ortodossa russa don Galasso, pur essendo sorvegliato dagli agenti del Kgb, rivolge le sue attenzioni; diventa amico del parroco Eugenio Zubovic, la cui comunità aiuta economicamente in vari modi (tra cui il dono, grazie alla Fiat, di un’ambitissima Žiguli). Tra i «miracoli» compiuti dal sacerdote modenese in terra russa c’è il ricongiungimento familiare per gli operai che lavorano a Togliattigrad, grazie a una persuasiva opera di convincimento nei confronti del presidente Gianni Agnelli durante una visita all’impianto («Dobbiamo evitare che si disgreghino queste famiglie », dice all’avvocato) e l’istituzione di una scuola elementare per i figli dei dipendenti Fiat, da lui diretta. Il resto del suo ministero sarà cadenzato da, comunioni, cresime (la Santa Sede gli aveva concesso questa facoltà), battesimi (alcuni in forma clandestina) e matrimoni «misti», molti dei quali tra italiani e russe. Tornato in patria, don Galasso ricomincia a fare il «semplice» parroco, curato d’anime a Baggiovara («La mia cattedrale»), dedicandosi soprattutto all’aiuto di ragazzi difficili, tra cui molti disabili, assistendo malati, poveri e persone sole. Ma è nel giugno 1988, con la visita di Giovanni Paolo II alla pista della Ferrari a Fiorano, che accade qualcosa d’inaspettato per questo umile prete della bassa: l’abbraccio fuori protocollo di Karol Wojtyla. Un gesto – confiderà anni dopo don Galasso – per «esprimere la gioia» di aver riconciliato Enzo Ferrari con la Chiesa cattolica. Il 10 novembre 2005, dopo lunga e dolorosa degenza all’ospedale di Brescia, il sacerdote amico degli operai si spegne. «La sua fede era semplice come quella di un bambino e solida come quella di un testimone, di un martire»: lo ricordò così nel Duomo di Modena l’arcivescovo Benito Cocchi ai funerali. Don Galasso riposa nella cappella privata della famiglia Panini, quelli della famosa ditta di figurine, perché – dichiarò Umberto, un fondatore dell’industria modenese – «ero desideroso di donare la mia tomba a un santo come lui».