«Scusi, prendete i ticket?». Domanda da bar in orario da pausa pranzo. Panino, bibita e caffè: due buoni. E magari, visto che avanza qualche centesimo, ci scappa anche un cioccolatino. Domanda che qualcuno butta lì in fila alla cassa, al supermercato. O che gira al macellaio sotto casa. Ma potrebbe esserci presto un cambio di scena. Tanto che non dovrebbe essere difficile sentire risuonare quel «Scusi, prendete i ticket?» in un museo o in una villa storica che conserva tesori d’arte. O alla biglietteria di un teatro. Al botteghino di una sala da concerto. Ma, perché no, in un parco divertimenti e al cinema, in una multisala che affaccia sulla tangenziale. O all’ufficio amministrativo di una scuola che propone corsi di formazione, per stare al passo con inglese e informatica. Perché tra poco nello scompartimento del portafogli dove operai e impiegati conservano i ticket restaurant si potrebbe capitare di dover fare spazio ai ticket cultura. Buoni prepagati che le aziende, pubbliche e private, offrono ai loro dipendenti per spenderli in proposte culturali che vanno dai musei ai teatri alle sale da concerto. Il meccanismo è lo stesso dei buoni pasto. Tanto che a lanciarlo è la Edenred, multinazionale che si occupa di fornire alle aziende il servizio dei ticket restaurant prepagati. Un blocchetto di buoni – il taglio può variare: cinque, dieci, quindici euro – che il dipendente è libero di spendere tra concerti, spettacoli, mostre. Una sera con il
Re Lear di Shakespeare, biglietto a 20 euro: basta staccare quattro tagliandi da cinque euro ed ecco che il sipario si apre. Buoni prepagati dal datore di lavoro, buoni che saranno poi rimborsati agli enti culturali coinvolti. «Siamo partiti a maggio, in Lombardia, ma da gennaio estenderemo progressivamente l’offerta a tutto il territorio nazionale», spiega Monica Boni, direttore dei Servizi alla persona di Edenred. Sono un’ottantina gli enti coinvolti, per ora prevalentemente al Nord. Ma la rete si sta progressivamente allargando. Occhio, allora, a musei e teatri che espongono, come capita nei bar e nei ristoranti, il cartello «Qui si accettano i ticket». Potrebbe capitare di trovarlo all’ingresso del milanese
Museo Poldi Pezzoli: un buono ed ecco che si apre un mondo fatto di capolavori pittorici di Luini e Piero della Francesca, Botticelli e Mantegna. Due passi - e un altro tagliando - ed ecco Bellini, Giampietrino e Zenale nelle sale del
Bagatti Valsecchi. Una passeggiata nel centralissimo corso Magenta con due tappe d’obbligo: il
Museo dei Martinitt e delle Stelline e Santa Maria delle Grazie con la
Sacrestia del Bramante. E per fare un salto nel Novecento ecco via Mozart con la
Villa Necchi Campiglio. Ma la mappa dei luoghi dove spendere i ticket cultura si allarga e varca i confini del capoluogo lombardo. Ecco le collezioni di
Villa Panza a Varese o della
Villa del Balbianello a Lenno, sul lago di Como. Il
Bosco di San Francesco ad Assisi, il
Giardino della Kolymbetra nella Valle dei Templi di Agrigento e il
Giardino Pantesco a Pantelleria. E ancora l’
Abbazia di San Fruttuoso a Camogli e il
Monastero di Torba, i
castelli di Avio e Masino e
Torre Campatelli a San Gimignano. Tutti beni curati dal Fondo per l’ambiente italiano. «Abbiamo aperto volentieri le porte di tutti i luoghi che gestiamo - spiega Marco Di Luccio, responsabile Sviluppo beni del Fai - perché crediamo che accanto alla tutela del patrimonio si debba lavorare per diffondere la cultura e per farla arrivare a più persone possibile. Oggi occorre trovare nuovi modi per attuare quest’opera che, anzitutto è educativa. Il ticket, in questo senso, è uno strumento valido per far capire alla gente che esiste un modo più bello e più edificante di impegnare il proprio tempo libero che passarlo nei centri commerciali». Musei, ma anche teatri di prosa: dai milanesi
Franco Parenti, Manzoni, Litta, San Babila, Sala Fontana, Out Off, Martinitt, Verdi - passando anche per quelli che realizzano spettacoli per i più piccoli come l’
Atelier Carlo Colla e figli e il
Buratto al Pime - al
Grande e al
Santa Chiara di Brescia. Due tagliandi staccati in biglietteria per far provare a sfatare, sostengono a una sola voce gli operatori culturali, «l’idea della cultura gratuita». Visto in termini economici il ticket cultura si potrebbe configurare come un’integrazione al pacchetto di benefit offerto dalle aziende che, proponendo questa soluzione, possono godere di una defiscalizzazione come previsto dal Testo unico sulle imposte sul reddito e dalla Normativa sui premi individuali e sulle liberalità occasionali del datore di lavoro, detassate sino a 258.23 euro annui. Visto, invece, in un’ottica di politica culturale diventa uno strumento educativo. Perché «il grande ventaglio di enti convenzionati fa sì che il potenziale pubblico si ponga la questione della scelta», spiega Giuseppe Manzoni, consigliere delegato dei
Pomeriggi musicali, orchestra che ha aderito con entusiasmo all’iniziativa del ticket cultura - gli altri enti musicali che hanno detto sì, per ora sono
festival MiTo, MilanoMusica e
Sentieri selvaggi, ma, assicurano gli organizzatori, «siamo in trattative con il Teatro alla Scala. Un modo - riflette Manzoni - per far arrivare la musica a gente che abitualmente non la segue, un bacino al quale attingere per fidelizzare un nuovo pubblico e, magari, svecchiarlo». Un’iniziativa innovativa per l’Italia, ma diffusa da tempo, con ottimi risultati, in Francia, Portogallo, Brasile, Ungheria, Romania, Repubblica Ceca e Slovacchia. «La necessità di nutrirsi non è sempre solo legata al cibo», spiega monsignor Franco Buzzi, prefetto dell’
Ambrosiana: a Milano i ticket aprono le porte di Pinacoteca (con il cartone della
Scuola di Atene di Leonardo e il
Cesto di frutta di Caravaggio) e Biblioteca (dove è custodito il leonardesco
Codice Atlantico). «Oggi c’è sempre più l’urgenza di riempirsi gli occhi di bellezza e i grandi capolavori dell’arte in un periodo in cui la lettura incontra scarso successo, possono facilitare l’individuazione e la diffusione di valori e contenuti alti». Da fruire, sorride monsignor Buzzi, «magari in pausa pranzo: un ticket per il panino e uno per la cultura».