Sabato notte l’hanno dato anche loro, l’annuncio della Risurrezione: le 7 campane del Torrazzo di Cremona, il campanile della cattedrale. Sette tra le migliaia che hanno squillato in tutto il Paese. Ma non 7 qualunque: le 7 che rintoccano dalla torre campanaria storica più alta d’Italia. Un augurio di gioia e speranza.
I rintocchi a festa, in questo video, sono accompagnati da una selezione di foto. E’ quasi una visita virtuale al monumento e ai suoi dettagli più caratteristici, con un occhio di riguardo per quelli solitamente inaccessibili al pubblico: su tutti, i meccanismi del grande orologio astronomico che dal 1583 scandisce il tempo dei Cremonesi.
Una torre da primato
L’altezza di oltre 112 metri ne fa la torre campanaria storica più alta d’Italia. E il quadrante del grande orologio astronomico, circa 50 metri quadri di superficie, che se ne sappia è il più esteso d’Europa e tra i maggiori al mondo. Ecco il Torrazzo di Cremona: il campanile della cattedrale, una torre da primato. Secondo la tradizione venne fondata nell’VIII secolo, ma le fonti storiche ne parlano con certezza dal XIII.
Vi si accede dal fianco destro del duomo, attraverso la “Porta del paradiso” scolpita nel 1514 da Lorenzo Trotti. Nel cortiletto si vira subito a destra, pochi euro per il biglietto, su per la prima scala ed ecco la “Bertazzola”: è dal loggiato tra la cattedrale e il Torrazzo che si entra nella “gran torre”, così come una lapide a piano terra ricorda l’antico appellativo del monumento. Ed ecco le scale. Corrono nell’intercapedine di quella che in gergo si chiama “doppia canna”. Per capirci: il Torrazzo è costituito da una torre dentro l’altra. Tra le due, salgono i gradini. E ogni manciata di rampe presenta sulla sinistra una porta sbarrata.
L’orologio, meccanico e multimediale
Ma non una: all’altezza di circa 30 metri, dalla “canna interna” filtra la luce. Ti avvicini, ti fermi. E prima ancora di guardare, un ticchettio ipnotizzante ti avvolge: quello del grande orologio astronomico, nascosto alla vista dal piano superiore. Guardi il pavimento, e un’installazione al neon ti dice molto di quella stanza: è una sala multimediale, un piccolo museo interattivo. Ti prende per mano, e ti accompagna tra i segreti della grande opera che gli orologiai cremonesi Giovanni Battista e Giovanni Francesco Divizioli, padre e figlio, inaugurarono nel 1583. Quella che funziona ancora oggi. Interamente meccanica. Senza nulla di elettrico. Nemmeno per la carica del peso, quotidiano adempimento del custode. Il grande quadrante è lì fuori, verso piazza duomo. Le sue 5 lancette (“indici”, per i cultori della materia), segnalano di tutto: dall’ora corrente al giorno del mese, dal segno zodiacale in cui si trova il sole alle eclissi di luna. E molto altro. Sul lato sud, sempre a quell’altezza, una meridiana del 1910 mostra quale fu il più antico sistema per misurare il tempo. Spiega tutto ciò, quella stanza. Ma attenzione a non indugiarvi troppo: la salita è ancora lunga.
Le campane, ferme ma non silenti
Gradino dopo gradino, stavolta è con un permesso speciale di monsignor Achille Bonazzi – direttore dell’Ufficio diocesano per i beni culturali - che si apre nuovamente la canna interna: in un luogo inaccessibile al pubblico, troneggiano le 7 campane del Torrazzo. Le ha fuse nel 1744 Bartolomeo Bozzio, pensandole nella solenne tonalità di “La bemolle grave”. La più piccola ripete la stessa nota del campanone all’ottava superiore. E, a mancare, è il settimo grado della scala musicale. Gli esperti concordano, il concerto è di gran pregio. Ma problemi statici alla torre consigliano di far oscillare i bronzi solo in casi del tutto eccezionali. Praticamente a ogni morte di papa o di vescovo, e stavolta non è un modo di dire. Per tutte le altre occasioni, è un martelletto elettrico che percuote dall’esterno la superficie metallica. Poco importa. Con un po’ d’inventiva, chi ha programmato il meccanismo è riuscito comunque a creare suoni per ogni occasione: feriali, festivi e solenni.
La ghirlanda che guarda Milano
Si sale ancora. I gradini iniziano a disegnare una forma elicoidale, gli spazi si stringono. E poco sopra la galleria, all’altezza della merlatura guelfa non si può far altro che uscire allo scoperto. Ma attenzione: qualche decina di metri ci separa ancora dalla cima. La ghirlanda – il cocuzzolo della “gran torre” – porta la firma di Francesco Pecorari: l’architetto cremonese che legò il suo nome anche alla chiesa di San Gottardo in corte, cappella di Palazzo reale nella Milano di Azzone Visconti. E forse pure alla “ciribiciaccola”, il tiburio dell’abbazia di Chiaravalle: un’ oasi di pace e preghiera alle porte della metropoli lombarda.
Nella parte sommitale della torre si entra da una piccola porta. L’antica scaletta, rigorosamente in legno, la si può solo immaginare: i suoi pioli consunti e i piccoli ballatoi sospesi nella vertigine dei 100 metri da terra hanno fatto il posto a una moderna struttura metallica che conduce alla cima del campanile, nel pieno rispetto delle norme antinfortunistiche. E’ lì che attorno a un’altra campana – il “Re” battiore del 1581 , ora in disuso - lo sguardo si apre a 360 gradi: sulla cattedrale, sugli altri monumenti del centro storico. Su quella città che celebra Andrea Amati, Giuseppe Guarneri del Gesù, Antonio Stradivari, e tramanda alle nuove generazioni la loro secolare tradizione liutaria. All’ombra del Torrazzo, sua millenaria sentinella.