Sulla copertina è riprodotto il labirinto della cattedrale di Chartres, ma il dedalo di percorsi seguiti da
The best of 25 years, doppia antologia di Sting nei negozi dal 25 ottobre, è quello che porta al Beacon Theatre di Broadway dove il 2 ottobre l’«Englishman in New York» festeggia 60 anni con un parterre di celebrità da far invidia alla cerimonia dei Grammy Awards. «Effettivamente sono stato abbastanza indiscreto con questo mio anniversario, invitando al compleanno un plotone di amici che va da Stevie Wonder ad Herbie Hancock, da Bruce Springsteen a Mary J. Blige, a Lady Gaga» spiega lui nella libreria dell’elegantissimo condominio affacciato su Central Park West in cui abita quando si trova a New York. «Canteranno tutti canzoni del mio repertorio, chi da solo chi con me e gli altri ospiti. L’intenzione è quella di divertirci e fare della beneficenza». La lista degli ospiti va dalla B di Billy Joel alla w (rigorosamente minuscola) di will.i.am dei Black Eyed Peas, senza tralasciare i nomi di Rufus Wainwright, Branford Marsalis o Robert Downey jr., ma al momento dietro all’operazione non ci sono progetti discografici. «Registreremo tutto, ma solo per tenere una memoria della serata» assicura il festeggiato.Intanto c’è questo doppio cd che contiene 31 suoi successi rimasterizzati. E, per non farsi mancare proprio nulla, Sting è intenzionato a mandare nei negozi già il 27 settembre un cofanetto con tre cd più un dvd girato durante un suo concerto all’Irving Plaza.
Sting, perché ha deciso di regalarsi per i suoi 60 anni una serata di beneficenza?Perché è un bellissimo regalo da farsi. Tanto più che i proventi andranno ad una fondazione newyorkese, la Robin Hood, per sviluppare un progetto educativo a favore dei ragazzi in difficoltà che contiamo di finanziare con 4 milioni di dollari".
Cosa canteranno Springsteen e Wonder?Penso che Bruce canterà
I hung my head e
Fields of gold, mentre Wonder
Fragile. A Lady Gaga ho suggerito invece
King of pain.
Dal 21 ottobre torna a suonare il basso in tournée.Assieme al chitarrista Dominic Miller abbiamo messo su una piccola band, in cui suona pure suo figlio venticinquenne Rufus, chitarra, assieme a Vinnie Colaiuta, batteria, e a due violinisti. Non so ancora cosa ne verrà fuori, ma l’idea mi piace parecchio. Per il momento il giro di concerti si limita al Nord America, ma se ci divertiremo verremo probabilmente pure in Europa l’anno prossimo.
Si parla persino di un suo ritorno a Broadway, nel musical. Il lavoro si chiama
The last ship e sta venendo alla luce pian piano. È un progetto musicale e teatrale in cui sono affiancato dal premio Pulitzer Brian Yorkey, ma non lo considererei propriamente un musical alla
Chicago. Racconta della mia città, Newcastle, negli anni Ottanta.
Venticinque anni fa, debuttava come solista con «The dream of the blue turles», dopo tanti successi coi Police. Cosa ricorda di quel momento?Fu una decisione impulsiva. Se la logica mi spingeva, infatti, a rimanere in quella band che m’aveva dato così tanto, l’istinto mi diceva che era arrivato il momento giusto per prendere un’altra strada perché avevo tutti gli occhi addosso e, almeno all’inizio, sarei stato seguito con attenzione. Ho avuto la fortuna di intuire il momento giusto, il disco è piaciuto e questo mi ha dato la libertà di fare col tempo tante cose notevolmente diverse.