Uno spettacolare paradosso prende forma il 25 maggio del 2008 quando nel Guinness dei primati (il volume in cui ogni anno, dal 1955, sono registrati tutti i record) viene inserita Minneapolis, la principale città del Minnesota (Usa). Motivazione: a Minneapolis si trova quello che è stato definito «il posto più silenzioso del mondo». Ma come conciliare il silenzio assoluto con il rombo dei motori della Formula Uno, che passa a qualche chilometro? L’equivoco viene subito sciolto. Minneapolis merita di veder riconosciuto a pieno titolo il suo record perché in realtà il tempio del silenzio non è affatto tutta la città ma soltanto un luogo ben preciso di questa e cioè la «camera anecoica » (senza eco), che è fonoisolante al 99,99 per cento, ovvero non fa passare alcun rumore. Insomma i record non fanno a pugni fra loro e forse gli Orfield Laboratories di South Minneapolis – che hanno realizzato la “camera” – vogliono dimostrare che, se concretizzato a dovere, il silenzio assoluto non teme neanche il rimbombante sfrecciare dei bolidi. E poi non è solo questione di Guinness: con la camera anecoica si possono compiere misure di estrema accuratezza, irraggiungibili con qualunque altro metodo. Questo silenzio nel quale si viene immersi è così totale che non può essere sopportato per oltre 45 minuti. Chi supera il limite ha l’elevata probabilità di andare incontro a disturbi nervosi di varia entità (vedere intervista qui sotto pubblicata) o addirittura di diventare pazzo, come ha titolato – esagerando – qualche giornale soprattutto negli Stati Uniti. Ma, mentre i mass media si divertono a fare ironia, c’è chi invita a comprendere l’enorme importanza dell’invenzione. «Chiariamoci bene le idee» dice il direttore e patron della ricerca,
Steven Orfield, orgoglioso della sua creatura. «Da decenni si combatte contro il rumore, nemico “numero uno” della salute dei nostri nervi. Ora mostriamo un ambiente nel quale il suono non rimbalza contro i muri. Su questa conquista i decibel non lasciano dubbi. Di notte, mentre dormiamo, in camera da letto il livello del suono è già di 30 decibel. Di giorno, quando si parla in ufficio o al bar, i decibel salgono a 60. Se invece ci si trasferisce nella silenziosissima apparecchiatura anecoica, scendono drasticamente a meno 9,4, cioè danno un netto valore negativo. Il nostro primato è fuori discussione». Del resto, la camera anecoica non è rimasta un prototipo chiuso in un museo. I disagi nervosi che si provano “a bordo” non hanno dissuaso né gli enti di ricerca né le imprese. In Italia, le camere anecoiche sono già dieci: una metà appartiene a università (tra cui quella di Ferrara e i Politecnici di Milano e di Torino) e l’altra metà alle imprese, tra cui Fiat e Alenia. Senza il controllo per mezzo della camera anecoi- ca non verrebbero rilevati i minimi livelli di rumorosità. Un dato di cui invece è essenziale disporre perché richiesto dalle maggiori industrie, in particolare dal settore auto e da quello aeronautico. L’interesse per questa apparecchiatura è solidamente confermato da decenni. Si progettano anche camere semianecoiche e sul mercato arrivano perfino richieste di camere anecoiche usate. Poiché la concorrenza mondiale è accanita, diventa impossibile sottrarsi del tutto alle polemiche. Però nessuno può contestare la validità della “camera” sotto lo stretto profilo scientifico e tecnologico. Su questo fronte Steven Orfield è inattaccabile e definisce la camera uno strumento “efficace ed efficiente” descrivendone ulteriori caratteristiche. Si apprende così che a schermare pareti e soffitti della superficie interna provvede una corazzatura aggettante composta da piramidi e cunei capovolti, fatta di plastica. Per rafforzare l’isolamento, ogni camera in realtà equivale a due. Sono l’una dentro l’altra. Inoltre i muri hanno uno spessore isolante di tre metri e mezzo.L’impenetrabilità è garantita da materiali come acciaio, fibra di vetro, calcestruzzo. Per evitare un rumoroso scalpiccìo sulla soglia della camera, gli ospiti in entrata e in uscita passano su uno speciale trampolino dotato di un dispositivo che assorbe anche il più piccolo brusìo. Non potendo attaccare Steven Orfield e i progettisti, i critici cambiano l’orientamento del dibattito sulla camera e lo trasferiscono sul piano della politica economica generale. C’è chi mette in discussione la stessa opportunità di dotarsi della camera anecoica. «A che cosa serve ora?» si domanda
Jacques de Werra, che insegna Diritto del commercio all’Università di Ginevra. «Forse questo non è il momento adatto per parlare di camera anecoica, se dobbiamo ancora affrontare varie questioni, come quella dell’amianto», osserva il suo collega
Sami Karkar, del laboratorio “L’Avis des experts” (Il punto di vista degli esperti). Questa è la linea secondo la quale le tecnologie non possono giustificarsi sempre da sole e trovare in sé stesse la loro ragion d’essere. Secondo Karkar, infatti, le tecnologie «stanno cambiando la percezione che abbiamo di noi stessi e della nostra vita». Le domande che covavano si condensano in una. Durante la conferenza stampa i cronisti vogliono sapere a quale livello di raffinatezza tecnologica si collochi oggi la camera. E, quando si sentono dire che la tecnologia anecoica è una tecnologia povera, restano increduli. «Ma le cose stanno proprio così» conferma Steven Orfield. A Minneapolis, non si vantano supertecnologie di cui non c’è necessità o richiesta. E non è tutto: da scienziati moderni, il loro
sense of humor bilancia l’amor proprio. E reagiscono di conseguenza. Accade, per esempio, quando la corazzatura che rende possibile il silenzio viene chiamata «il cartone per le uova» (al quale, per la verità, è alquanto somigliante; fino a qualche tempo fa, ma forse ancora oggi, le stanze di registrazione di certe emittenti radio – quelle appunto più “povere” – erano foderate proprio di cartoni per uova perché la loro forma li rendeva assai fonoassorbenti ovvero anecoici). Considerato tutto questo, ci si può spiegare perché, rischiando di apparire vagamente snob, Steven Orfield e i suoi tecnici insistano nell’affermare che la tecnologia anecoica è povera. Il significato di questo atteggiamento è evidente: Orfield vuole spiegare che la camera anecoica raggiunge completamente il suo obiettivo senza esigere tecnologie troppo sofisticate e costose, e perciò è compatibile con la
spending review attenta alle scelte prioritarie di politica economica. L’ultima sorpresa riservata dalla camera è che ha avuto come testimonial uno fra i più innovatori e discussi artisti di tutto il Novecento: nel 1951 John Cage si fermò a Harvard e osservò una fra le prime versioni della “macchina”. Cage potrebbe essere definito «il musicista della camera anecoica». In quell’occasione, scoprì infatti che il silenzio è «un mezzo espressivo, pieno di potenziale significato », e che la vera opera musicale non è suonata da nessuno. I concerti di Cage erano sinfonie del silenzio. Sulle orme di Cage ora sono in molti a sostenere che il silenzio «non è il nulla».