La solidarietà è un segno di quella capacità di bene che contraddistingue l’uomo. L’uomo è capace di bene, è capace di rapportarsi all’altro secondo una relazione di bene.Il termine «relazione» – che oggi viene spesso ripetuto come un mantra, quasi fosse una parola magica in grado di risolvere qualsiasi problema – è per certi aspetti ambiguo; in effetti all’interno della «nuda vita» la relazione con l’altro è sempre finalizzata alla permanenza dello stesso: il vivente A si apre all’altro B, va verso l’altro B, per impossessarsi di B e permanere così nella propria vita di A. In altre parole: A entra in relazione con B non per B ma per sé, per poter continuare a vivere la propria vita di A. Questa legge della vita è stata subito riconosciuta: tutto ciò che esiste tende insistentemente a perseverare nel proprio essere, ed anzi non è scorretto interpretare l’idea stessa di «esistenza » in funzione di questa continua lotta per la propria «perseveranza». Esistere è lottare per la «pro- pria» esistenza: nella «nuda vita» si lotta per sopravvivere, qui la relazione si chiama guerra. La relazione di bene, di cui la solidarietà è una delle manifestazioni, trasgredisce questa legge perché essa rinvia ad un legame con l’altro non più definito dal «verso» ma dal «per»: l’uomo è capace di andare verso l’altro non per sé ma per l’altro. Questa capacità di bene decostruisce l’idea stessa di esistenza: quest’ultima non si esaurisce più nella sola perseveranza in sé, nella chiusura nel proprio essere, ma si dilata nell’apertura per l’essere dell’altro. Proprio per questo il modo di esistere dell’uomo si differenzia da quello di ogni altro esistente e di ogni altro vivente; l’antica, e per alcuni risibile, «centralità dell’uomo nell’universo» è da ricondurre a questa capacità di bene: egli, che senza alcun dubbio è quasi nulla all’interno dell’infinità fisica dell’universo, è in verità il centro dell’universo – ecco una verità per nulla risibile – in quanto capace di bene. Quest’ultimo è il centro di un «luogo» spirituale che non è semplicemente uno «spazio» fisico. Una tale ipotesi, se così si può dire, è stata avanzata sia dal logos filosofico (si pensi ad esempio alla sorprendente idea platonica del Bene al di sopra dell’essere) che dal logos biblico. Quest’ultimo in particolare non si stanca di ripeterlo: «Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; non posso sopportare noviluni, sabati, assemblee sacre, delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli (...) Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova» (Is 1, 13-17).Un Dio che afferma di non sopportare noviluni, sabati e assemblee sacre è davvero sorprendente, ma ancora più sorprendente è l’idea di uomo che un simile Dio ultimamente propone: un uomo creato «a sua immagine e somiglianza», cioè anch’egli capace di bene, capace, non solo di far posto all’altro, ma di essere addirittura solidale con l’altro. In una re- cente pubblicazione Bruno Maggioni ha scritto: «Il vero culto è la vita stessa offerta per gli altri. Non semplicemente una vita offerta a Dio, ma offerta per gli altri. Le linee verticale e orizzontale si congiungono (...) Che l’uomo debba onorare e servire Dio è importante, ma ovvio. Che Dio trovi il suo onore là dove si libera l’uomo non è ovvio» (
Perché state a guardare il cielo. Le due strade per incontrare Dio, Vita & Pensiero).Di fronte alla vertigine del bene – essere come Dio senza essere Dio – si rischia costantemente di perdere la testa. Ci si può ad esempio assuefare ad un simile esercizio alimentando così quello che Baudrillard ha definito «un surplus di ideologia altruistica », «essa stessa burocratizzata: 'lubrificazione sociale' attraverso la sollecitudine, la ridistribuzione, il dono, la gratuità, tutta la propaganda caritativa e delle relazioni umane» ( La società dei consumi, Il Mulino). La solidarietà si trasforma in «lubrificazione sociale» ogniqualvolta, smarrendo l’attenzione per la scandalosa concretezza dell’altro, ci si accontenta e in verità anche si gode dell’astrattezza stessa del gesto: perversione all’interno della quale la «passione» per solidarietà prende il sopravvento sulla cura per l’unicità del singolo.Un secondo rischio è quello di concepire e praticare la solidarietà come se si trattasse di una gara. Riconosciamolo: tra le mani dell’uomo il bene si trasforma spesso in male. Si può infatti fare della solidarietà, così come della beneficienza, della carità, del dono, eccetera, l’oggetto del proprio godimento. Come ho già detto: non basta andare «verso» l’altro per essere «per» l’altro, così come non basta «dare», magari con abbondanza, per «donare». Di conseguenza bisogna ad ogni costo resistere alla tentazione di trasformare la generosità in un fine: si può donare «con» generosità, ed anzi ogni autentica solidarietà e ogni dono implicano la generosità, ma non si può donare «per» generosità; in effetti se si donasse per essere generosi, per dare e soprattutto darsi prova di essere generosi, in verità non si donerebbe affatto ma semplicemente si darebbe, il più delle volte proprio per ricevere. In termini rigorosi si deve pertanto riconoscere che perfino la solidarietà e il dono possono trasformarsi in quell’idolo per eccellenza che è il potere. Una delle più lucide e spietate descrizioni di un tale capovolgimento è quella che Virginia Woolf sviluppa attorno al personaggio del medico filantropo Sir William in Miss Dalloway : «Equilibrio (...) era la divinità di Sir William (...) Ma l’Equilibrio ha una sorella, meno sorridente, meno formidabile (...) Conversione è il suo nome; ella si pasce della volontà dei deboli, le piace imporsi, impressionare, e va pazza per il proprio sembiante stampato sul volto della plebe (...) ammantata di bianco, sotto le spoglie dell’amor fraterno, la vedrete camminare compunta per le fabbriche e nei parlamenti; offre aiuto, ma anela al potere (...) la Conversione, questa Dea sofistica, preferisce il sangue ai mattoni, e la volontà umana è per lei un cibo prelibato». Contro simili derive, bisogna salvaguardare con forza il debole statuto della solidarietà. Analogamente al dono, alla compassione, alla carità, al bene, anch’essa deve dunque essere scritta con la minuscola: nessun dovere, nessun obbligo, nessun potere, nessuna ideologia. Se fosse mai possibile – ecco la rivoluzione – solo bene.