Toni Servillo e Silvio Orlando in “Ariaferma” di Leonardo Di Costanzo - Amka
Applausi, partecipazione intensa ed anche commozione alla Casa circondariale di Lecco grazie al Lecco Film Fest. Il festival, organizzato da Fondazione Ente dello Spettacolo e promosso da Confindustria Lecco e Sondrio, nell’intensa settimana che si conclude domani 7 luglio, ha portato sulla sponda lecchese del Lago di Como il meglio del cinema italiano attraverso proiezioni, incontri e tavole rotonde. La novità della quinta edizione del Lecco Film Fest è avere offerto un percorso di riflessione sulla condizione di vita nelle carceri e sul ruolo delle arti per costruire il ritorno nella società anche all’interno del penitenziario di Lecco. Riccardo Milani è stato al carcere situato a Pescarenico quindi con Grazie ragazzi, ispirato alla storia vera della prima compagnia teatrale formata da detenuti. Il 3 luglio è stato presentato anche Ariaferma di Leonardo Di Costanzo, una profonda riflessione sulla condizione umana che racconta il rapporto tra detenuti e guardie con gli straordinari Toni Servillo e Silvio Orlando. «Il tema di quest’anno è Signora libertà spiega ad Avvenire monsignor Davide Milani, presidente dell’Ente dello Spettacolo e promotore del festival curato da Angela D’Arrigo-. E non potevamo non trattarlo con chi della libertà apparentemente è privato ma in realtà sta vivendo un percorso di reinserimento nella società. Inoltre volevamo raggiungere a Lecco tutti, anche chi non si vede perché il carcere, purtroppo, è un luogo di pregiudizio. La direttrice Luisa Mattina è stata molto disponibile ad accogliere questo progetto. Il percorso ha previsto una rassegna cinematografica solo in carcere, alla presenza di attori e registi, mentre stasera in piazza ampliamo l’esperienza, portando al pubblico del Lecco Film Fest la riflessione sulla libertà e il carcere ospiti il regista Leonardo Di Costanzo e don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria e fondatore della Comunità Kairos». Questa sera, quindi appuntamento alle 18 col regista di Ariaferma in Piazza XX Settembre a Lecco, mentre alle ore 21 all’Arena estiva di Piazza Garibaldi verrà proiettato Sbatti il mostro in prima pagina alla presenza del regista Marco Bellocchio, che è appena tornato nelle sale restaurato. «Un film ancora più centrale rispetto al tema – aggiunge monsignor Milani -. Parla della comunicazione e che libertà ha la comunicazione. Abbiamo aperto il festival con la proiezione di Un condannato a morte è fuggito di Robert Bresson (1956) che focalizza – nella vicenda di un detenuto in attesa della pena capitale – il desiderio di libertà di un intero popolo oppresso dal regime nazista. La conclusione – del festival e della retrospettiva dedicata – sarà affidata domani a La chimera (2023) di Alice Rohrwacher: la lotta per liberare l’arte e la bellezza dal potere economico». Ma come hanno reagito i detenuti alla proiezione dei film proposti dal Lecco Film Fest, legati alla loro realtà? «Hanno apprezzato anche per le riflessioni – conclude monsignor Milani -. Noi immaginiamo che il primo desiderio per loro sia finire la pena e tornare alla vita normale, ma molto spesso la nostra libertà è condizionata da molte altre cose. A volte non siamo liberi di dire quello che siamo o non crediamo nelle nostre personalità. C’è un percorso verso la libertà più profondo e radicale della libertà fisica». Ha fatto riflettere anche Ariaferma film vincitore nel 2022 del Premio David di Donatello per il migliore attore protagonista a Silvio Orlando e Premio migliore sceneggiatura originale a Leonardo Di Costanzo, Bruno Oliviero, Valia Santella. Il film diretto da Leonardo di Costanzo, è ambientato in un carcere in via di dismissione, dove sono rimasti soltanto qualche agente e pochissimi reclusi che si ritrovano a formare una nuova comunità, seppur molto fragile, con nuove regole. Di Costanzo nasce documentarista e nei suoi film, da L’intervallo in poi, ha posto sempre al centro il tema della marginalità a partire dalla sua Napoli. «Avevo raccontato a don Davide di aver visitato varie prigioni da Varese a Bollate e Poggioreale, mentre scrivevo Ariaferma – racconta Di Costanzo ad Avvenire -. Ma è visitando il carcere di Lecco che ho avuto la sensazione di come fare il film: ho incontrato molte persone educatori, agenti, il direttore ed ex detenuti. E qui ho incontrato il personaggio chiave, il Fantaccini del film ispirato a un ragazzo appena maggiorenne che, mi dicevano, entrava e usciva dal carcere perché non aveva nessuno fuori dopo la morte dei nonni con cui conviveva. Rubava per mangiare, ogni tanto lo portavano dentro, tutti gli volevano bene». Per questo è ancor più speciale questa prima proiezione nel carcere di Lecco per il regista: «Venendo dal documentario cerco di guardare bene quello che succede nella realtà. La realtà è uno straordinario sceneggiatore. Si poneva però il problema di come rappresentare il carcere in maniera credibile. Ho dovuto cercare un universo un po’ separato, una sorta di castello che sta per essere abbandonato, da favola nera, e costruire dei personaggi raccontati con finzione, mescolando documentario e teatro, motivo per cui ho pensato a Servillo e Orlando». Il film è stato girato nelll’ottocentesco carcere San Sebastiano di Sassari, e la maggior parte degli attori erano non professionisti, detenuti ed ex detenuti, e guardie. «Visitando e parlando con agenti e detenuti questi mi raccontavano sprazzi di umanità, anche in un universo di separazione e distanza come il carcere - ricorda -. Una agente donna mi disse che in un carcere di massima sicurezza aveva passato tutta la notte in cella tenendo la mano a una camorrista perché stava male per suo figlio. Lì dentro restano uomini e donne, l’umanità viene fuori ed è questo che ho voluto raccontare». Il suo film in questi anni è stato proiettato in molte carceri italiane. «Spesso ho chiesto di accompagnare il film a Salvatore Striano, straordinario attore che ha una esperienza di carcere alle spalle, è diventato attore in cella ed è stato protagonista di Cesare non deve morire dei fratelli Taviani. Lui fa una grande riflessione sulla vita del carcere e su se stesso. I detenuti di Bollate ci dissero durante il dibattito che il film funziona perché a un certo punto c’è un gesto di fiducia, “e noi non possiamo ricostituirci senza un gesto fiducia”». Prima del carcere, la società come dovrebbe agire? «Bisogna sapere se vogliamo fare qualcosa con le parti più complicate e difficili della società – spiega Di Costanzo -. Parlo della scuola. Io ho girato per un anno un documentario in una scuola media in una zona molto difficile di Napoli in cui gli insegnanti cercano di dare un senso all’istituzione, e si capisce quanto sono soli, non c’è un pensiero comune su cosa fare. La scuola non è per tutti, le famiglie sono scoppiate, e gli insegnanti sono il primo pilastro della formazione. Mi hanno detto: “se noi espelliamo i ragazzi difficili dalle scuole, costruiremo prigioni sempre più grandi per stare tranquilli. Occorrerebbe invece un esercito di insegnanti. Ho finito di scrivere un film che ha sempre a che fare con i temi attraversati durante Ariaferma, ogni mio film è quasi una declinazione di quello precedente».