Un cacciatore si aggira per la foresta equatoriale e dopo avere catturato la sua preda – una scimmia – viene preso in consegna da una squadra «speciale», che analizza lo stato di salute dell’uomo e dell’animale. Lo stretto contatto con specie selvatiche infatti è una delle occasioni che i virus hanno per compiere il salto, ovvero passare da una circolazione tra animali a quella negli organismi umani. E poiché quasi tutte le più gravi infezioni virali sono nate in ambito animale, ecco che i «cacciatori di virus» setacciano gli angoli più remoti della Terra per creare sistemi di allerta rapido che permettano di informare (anche con sms) le autorità sanitarie al comparire di casi di malattie gravi o letali che appaiano sospette. L’attività della Global Viral Forecasting (Gvf), illustrata dal suo fondatore, Nathan Wolfe, docente di Biologia alla Stanford University (Stati Uniti) rappresenta uno degli esempi più convincenti della applicazione di strategie innovative per battere quel «nemico invisibile» che sono i virus, protagonisti a Venezia della sesta edizione della Conferenza mondiale sul Futuro della scienza, organizzata dalla Fondazione Umberto Veronesi, dalla Fondazione Silvio Tronchetti Provera e dalla Fondazione Giorgio Cini.«Oggi ci troviamo immersi in una delle più gravi epidemie della storia: il virus che provoca l’Aids, l’Hiv, è presente in tutti i Paesi, ha causato già 25 milioni di morti ed è la causa di morte più frequente in Africa», ha sottolineato l’oncologo Umberto Veronesi, ricordando come «nonostante un immenso impegno economico e finanziario ed eserciti di ricercatori, non abbiamo ancora il vaccino contro questo virus». E non a caso proprio Luc Montagnier e Robert Gallo, coscopritori del virus Hiv, sono stati i protagonisti dell’apertura della Conferenza: il primo, premio Nobel per la medicina nel 2008, ha ipotizzato che sia nel Dna il luogo dove il virus, pur attaccato dai farmaci, riesce a nascondersi; il secondo, scopritore del virus Htlv-1 (causa di una forma leucemica nell’uomo), ha parlato di un candidato vaccino contro l’Hiv che il suo gruppo sta studiando.Ma se l’Aids ha risvegliato il mondo scientifico che – alla fine degli anni Sessanta – riteneva che, grazie agli antibiotici e allo sviluppo dei vaccini, la questione delle malattie infettive fosse ormai chiusa, molti altri virus continuano a emergere e a costituire una minaccia alla salute umana. Per la sua semplicissima struttura (una piccola striscia di Dna o Rna racchiusa in un guscio proteico), ogni virus è un «parassita cellulare per forza», ha spiegato Dorothy Crawford (docente di Microbiologia all’Università di Edimburgo, Regno Unito), che si integra nelle cellule dell’animale o dell’uomo e le costringe a lavorare per lui: «Un virus contiene da due a duecento geni, misura da 20 a 300 millesimi di millimetro ed è mediamente 500 volte più piccolo di un batterio». L’emergere di nuove infezioni virali è più frequente, causale e imprevedibile di quanto si pensi: «Il virus Nipah è stato identificato in Malesia nel 1999 in maiali cui causava malattie respiratorie, ma quando passa nell’uomo provoca encefaliti, letali nel 50% dei casi: il virus veniva da pipistrelli che si erano avvicinati agli allevamenti suini perché erano stati abbattuti gli alberi su cui vivevano». O ancora il virus del vaiolo delle scimmie, diffusosi negli Stati Uniti nel 2003, grazie alla importazione dal Ghana di un animaletto da compagnia (uno scoiattolino africano) che ha infettato – in negozio – anche il cane della prateria. Anche il più stupido dei virus – ha detto Crawford citando lo scienziato Georg Klein – è più intelligente del più intelligente dei virologi.Anche trascurando antiche paure di infezioni come vaiolo e polio, o l’ampia diffusione dell’epatite B e C, molti virus temibili sorgono di tanto in tanto nelle zone più remote del Pianeta (da Ebola alla Sars, dall’influenza aviaria al West Nile) creando panico per la facilità con cui – grazie ai trasporti aerei – si possono diffondere per il mondo. E poiché dopo un certo tempo i virus animali finiscono col trasmettersi all’uomo, la veterinaria Ilaria Capua (direttore dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie, centro di riferimento internazionale per l’influenza aviaria) ha sostenuto la necessità di «non dividere la salute degli animali da quella degli uomini».Ma la minaccia non riguarda solo animali e uomini: anche il mondo vegetale è attaccato dai virus, trasportati dagli insetti. E l’impatto sulle popolazioni che vivono di agricoltura in Africa può essere pesantissimo, come ha mostrato Wafaa El Khoury, (divisione produzione e protezione delle piante della Fao), facendo il caso della manioca, pianta fondamentale per l’alimentazione di ampie regioni africane, che viene colpita da due virus: «Non disponiamo di pesticidi contro i virus, occorre avere capacità diagnostica, sorveglianza e formazione degli agricoltori». In questo campo una soluzione viene dall’ingegneria genetica. Wilhelm Gruissem (Eth, Istituto svizzero per la tecnologia, Zurigo) ha illustrato come si stanno creando in laboratorio piante geneticamente modificate per resistere ai virus, partendo dalle caratteristiche di alcuni vegetali che non ne vengono infettati. «Bisogna trovare una soluzione che vada bene per l’Africa, non per Zurigo. Ora stiamo testandole in campo a Porto Rico».