venerdì 7 novembre 2014
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A Scampia, un avvocato serve sempre... Ma l’avvocato Paolo Conte entrando nella Palestra Star Judo Club si limiterebbe ad intonare. «Il Maestro è nell’anima e nell’anima per sempre resterà». Il “Maestro”, per la gente del quartiere - noto purtroppo come la Gomorra della malavita e dello spaccio di droga - è ’O Maé, il 58enne anima di Scampia, Gianni Maddaloni. Un uomo di «pret», di pietra, come gli hanno detto ammirati i tredici scugnizzi indomabili che per conquistarli ha dovuto stendere, «uno ad uno», al tatami, con una mossa di judo. «Sono i ragazzi più difficili che mi manda la scuola media Virgilio 4, li ho ribattezzati la “Classe don Milani”», dice con il piglio gladiatorio di chi muovendosi «ogni giorno tra angeli e demoni» è impegnato in una sfida infinita, senza tregua. «Qui basta un attimo, un sì all’amico sbagliato e ti ritrovi dentro un inferno da cui esci o morto, o al carcere, o rovinato per sempre», ha scritto nel suo libro L’Oro di Scampia (Baldini&Castoldi). Quell’oro sta per la medaglia conquistata nel judo dal primo dei suoi sette figli, Pino, alle Olimpiadi di Sydney 2000. Ma aurea è tutta l’attività e il fermento sociale che ribolle intorno a questo avamposto dello sport e della legalità sotto il Vesuvio. Nel ventre di una Napoli «ferita e dimenticata» foderato di tappetini, si insegna prima di tutto quella filosofia esistenziale, che va sotto l’egida di “Percorso Maddaloni”. Regola numero uno per chi inizia il cammino: «Ad ognuno è dovuta una seconda possibilità». E non è un caso che quest’oasi di rinascita si trovi in via della Resistenza. «Con quelli che chiamo i miei “quattro pazzi” (gli istruttori: Vincenzo Santoro, Mimmo D’Angelo, Rosa Langella e mia moglie Rosaria Marchitiello), oltre al judo insegniamo la kick-boxing e la danza. Tra genitori e figli passano oltre 1200 persone e la retta la paga chi può». Quei papà e mamma che hanno possibilità, «la minoranza», versano la cifra simbolica di 20 euro al mese, in due. Anche l’obiettivo comune è duplice: resistere e scommettere sul futuro. «La scommessa di tanti è avere la forza di riprendersi se stessi dopo che si è caduti. E credetemi, qui basta poco per cadere e perdere tutto», avverte ’O Maé che gonfia il petto sotto il kimono (judogi) e sì fa forte di quel 70% di gioventù che ieri era bruciata dai fuochi velenosi della camorra e che oggi «con pazienza e tanto amore» è riuscito a recuperare.Ma non dimentica un solo nome di quel restante 30% che si è inabissato. «Uno di questi è Genny, sta scontando la sua pena al carcere di Castrovillari. Quando uscirà farò di tutto per rimetterlo in carreggiata», dice convinto il guerriero dai muscoli d’acciaio, ma dal cuore tenero. Alla sera, quando la palestra chiude e si spengono le luci, si rifugia nello studiolo del filosofo di strada e si scopre a piangere per l’ultima lettera che dal carcere gli ha spedito il papà del suo “ottavo figlio”, Antonio. «Occhi furbetti e ’na faccia e paccheri, come la maggior parte di questi angeli che vivono all’inferno. Me l’ha mandato, assieme a tanti altri “bulletti” com’era lui, la scuola Media Ilaria Alpi-Carlo Levi, di via Bakù a un passo dalle Vele, che ormai conoscete tutti per il film Gomorra. Con un papà in galera e una mamma senza lavoro, Antonio non distingueva più il bene dal male. Tempo un anno con noi, non solo è diventato uno dei più bravi nel judo, ma è emerso il suo talento per la musica. Così abbiamo preso un pianoforte che viene a suonare tutti i giorni, qui in palestra... A novembre entrerà al Conservatorio San Pietro a Majella». Il primo concerto importante Antonio lo terrà a metà dicembre nel carcere di Oristano, davanti ai detenuti e a suo padre che non vede da quattro anni.Di Antonio, ’O Maè ne ha altri 35. «Sono i “Senzapapà”, figli di boss o spacciatori in prigione che mi mandano dagli istituti della Settima Municipalità (Miano, Secondigliano, San Pietro a Patierno) e dall’Ottava (Chiaiano, Piscinola, Marianella e Scampia). Un territorio fortemente a rischio in cui vivono 400mila persone, madri e padri di ragazzi che frequentano la palestra ai quali ogni giorno devo ricordare: “Qui lo Stato siamo noi”».Una corsa contro il tempo quella del “Percorso Maddaloni” che prova a salvare il maggior numero di «uomini persi». Come i sei detenuti in messa alla prova che oltre ad occuparsi delle pulizie si prendono amorevolmente cura dei bambini non vedenti che fanno judo. Uno di questi, entrato scugnizzo ora ha 34 anni: Giovanni Guzzo, non vedente, cintura nera: «100 chili di bontà e di talento. Giovanni ha vinto tre titoli italiani – sottolinea orgoglioso Maddaloni – e il suo coach personale è Antonio, un detenuto agli arresti domiciliari».La nobiltà d’animo di questo popolo non giudica mai le miserie degli altri, ma anzi gli tende la mano, come insegna ’O Maé che non si è mai arreso, neppure quando il destino della palestra sembrava segnato. «Dal 2004 ad oggi, almeno tre volte abbiamo rischiato di chiudere e non per le minacce della camorra, ma perché mancavano anche i soldi per pagare le bollette della luce. I 50mila euro provvidenziali che mi regalò Gilberto Benetton, per due anni mi hanno permesso di non chiedere un centesimo agli iscritti. Ma poi quei soldi sono finiti, mentre i problemi si moltiplicavano... Tra mille sacrifici, se riusciamo ad andare avanti lo dobbiamo al buon Dio e al grande cuore di tanta gente che nemmeno conosciamo». Come l’Anonima di Taranto che da quattro anni in qua ogni due mesi invia puntuale una busta con dentro 500 euro o “Nonna” Anna, un’italoamericana che da New York ha scoperto su Internet la storia dei “guaglioni” di Scampia e non li ha più abbandonati.Anche grazie a loro, la palestra cresce e attira a sé quegli «uomini giusti» che credono e lottano per una Napoli e un Paese migliore. «Il mio angelo custode, maestro di sport e di vita che non manco mai di ricordare è stato Lupo, ma nel giudice Giandomenico Lepore (presidente dell’Osservatorio per la legalità) ho trovato un altro “angelo custode”. Lo conoscevo di fama come Procuratore capo che aveva fatto arrestare i “casalesi” , ma quando si è presentato la prima volta in palestra l’ho visto piuttosto accigliato… È bastato un inchino dei miei ragazzi e un pomeriggio trascorso assieme per capire che i nostri percorsi sarebbero andati nella stessa direzione: quella della speranza da donare a questi figli di Scampia».Una famiglia allargata, come quella di ’O Maé. Una squadra in cui entrano continuamente «nuovi angeli custodi, come Amedeo Manzo», il direttore della Bcc di Napoli. «Con i 12mila euro annui che ci passa la sua Banca paghiamo gli stipendi ai ragazzi della messa alla prova, in modo che non devono più spacciare o prostituirsi anche per prendere un caffè al bar». La formazione del judo, appena rientrata da Dubai, gira il mondo e tutti ormai la conoscono come la “Bcc Napoli Credito Cooperativo”. Lo squadrone che vanta sei campioni italiani, e il capitano, il 17enne Mario Petrosino, è pronto per le Olimpiadi di Rio 2016. «Mario – spiega ’O Maé – è un piccolo Pino Maddaloni, un soldato fedele che si allena tre volte alla settimana e va pure bene a scuola». Tra le piccole donne crescono, c’è Martina Esposito, classe 2001, «una che già “mena” parecchi maschietti... Ogni Natale, Martina mi regala un disegno diverso, ma ci mette sempre il podio e lei su in cima al gradino più alto. Il suo sogno è vincere la medaglia a Tokyo 2020». Sono i sogni d’oro che ad occhi molto aperti fa anche Giovanni Malagò, il quale uno dei primi viaggi da neopresidente del Coni l’ha condotto alla palestra di Scampia. «Mi chiamò al telefono: “Allora Maddaloni che dobbiamo fare con queste bollette?”. Pochi giorni dopo il presidente Malagò era qui da noi; si è preso a cuore il progetto della “Cittadella dello sport” e ha fatto appassionare anche il Presidente del consiglio Matteo Renzi». Ad aprile del 2015 il cantiere della Cittadella potrebbe partire, e un mese prima, a Scampia è “annunciata” la visita di papa Francesco. «Il Santo Padre è il più forte judoka del pianeta e qui davanti, in piazza degli Eventi, vorrei stringergli alla vita la cintura nera. Papa Francesco mi conferma che il nostro “Percorso” è anche il suo: tenere sempre la porta aperta, abbracciare chi ti chiede aiuto e rialzarlo se lo trovi steso a terra». Un insegnamento che l’ex allievo, il judoca master Mario Cifinelli, ha esportato a Città del Messico dove il “Percorso Maddaloni”«con 50 tappetini - scrive Cifinelli via email - l’aiuto di mia moglie, la pediatra Gabriela Dominguez Silva e il cardiologo Octavio Medel, strappa dalla strada i ragazzi per fargli fare il judo, gratis». Di qua, nel “messico napoletano” un’ altra giornata di sfide sta per finire, quando a salutare ’O Maé si presenta un ragazzone di colore che tutti chiamano “Obama”: «È dei Quartieri Spagnoli, spacciava, è finito dentro e adesso fa il restauratore, un mestiere che ha imparato in carcere». Da un paio di settimane invece, manca all’appello “Occhi azzurri” : «Ha 12 anni, è figlio di un 41 bis, fine pena mai. I suoi amici del rione picchiano per lui, lo fanno sentire un piccolo boss. L’ho perso di vista e adesso devo assolutamente riportarlo qui». Le ragazzine danzano con indosso le t-shirt con su scritto: «La camorra non vale niente», e sulle note di “Nu juorno buono”, il brano del rapper Rocco Hunt, «un amico di Scampia», davanti a ’O Maé - che “tiene” gli occhi lucidi - cantano in coro rivolte al mondo intero: «Questo posto non deve morire, la mia gente non deve partire, il mio accento si deve sentire...».
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