Ha l’intenzione di fare la cantante ancora per molto, e meno male. Perché Antonella Ruggiero svetta sempre, non solo per l’estensione e le purissime sonorità, ma per la costante ricerca di espressioni musicali originali. Ma una nuova linea di partenza è come se l’avesse tirata, visto che la sua opera discografica – in uscita dal 20 novembre – è intitolata appunto Quando facevo la cantante: una caleidoscopica raccolta di ben 115 titoli in sei cd, che ripercorre gli «innumerevoli brani realizzati dal 1996 a oggi» accompagnati da 180 pagine scritte di racconti.
Antonella Ruggiero, un progetto poderoso, che era stato annunciato un anno fa ma poi aveva subìto una battuta d’arresto.
«È vero, stavamo uscendo un anno fa, poi ci siamo fermati, perché noi siamo liberi e indipendenti, abbiamo la nostra piccola etichetta che ci permette di puntare al massimo della qualità senza pressioni dettate da altri, così abbiamo deciso di aggiungere molti brani. Alla fine ci siamo fermati a 115, e ognuno dei sei cd che li raccolgono descrive un genere diverso, dal classico, al sacro, al pop sofisticato, al pop più popolare, per arrivare alle “stranezze” nelle quali mi avventuro da anni, chi mi segue lo sa bene. Sono ventidue anni di musica a partire appunto dal 1996, l’anno in cui ho ripreso la mia attività in veste di solista».
Un lungo viaggio che ripropone il meglio delle sue registrazioni live durante i concerti in tutta Italia e all’estero, insieme a brani registrati in studio. Una vera e propria “enciclopedia” aperta alla voce Ruggiero...
«E non solo: in questi ventidue anni ho lavorato con numerosi musicisti interessanti e di grande talento, che hanno contribuito a creare un lavoro abbastanza unico, un collage di visioni musicali, un repertorio poliedrico e disparato che va da quello mio personale, ai brani d’epoca, a quelli provenienti dai vari luoghi del mondo. C’è di tutto qua dentro, i canti dialettali e quelli degli alpini, il jazz e il tango, le canzoni d’amore e le antiche romanze, i nostri inni sacri e i ritmi di preghiera delle popolazioni più lontane».
Il tutto nasce dentro un’altra armonia che funziona, quella tra lei e il musicista Roberto Colombo, che è anche suo marito.
«L’idea è stata sua. Una sera di tre o quattro anni fa mi ha detto che avremmo dovuto farci un regalo, mettere insieme un racconto sonoro di tutto ciò che era avvenuto in questi decenni di attività. È lui che ha mixato le registrazioni e i frammenti dai vari concerti, dando vita a questo puzzle complicato e affascinante... oserei dire un lavoro per gente sensibile e dalla mente aperta».
Si può dire che alla base di un successo tanto lungo c’è proprio il vostro solido sodalizio di coppia?
«Diciamo che ci conosciamo dagli anni ’80 e da sempre ho ammirato la genialità di Roberto Colombo nel rielaborare le armonizzazioni, assemblare i brani, mescolare i suoni, creare un prodotto finale che non conosce confini stilistici. Siamo due artisti che fanno musica in maniera complementare, io mi affiderei sempre a lui perché ha un gusto totalmente vicino al mio e sa che canto in un determinato modo. Poi è chiaro che Roberto mi conosce bene anche umanamente, abbiamo una visione univoca della vita, prima ancora che della musica, la nostra è una sin-tonia, in senso etimologico».
Perché considerare solo le sue opere dal 1996 in poi, quelle della Ruggiero solista, escludendo il “prima” che le ha dato la notorietà?
«Perché è un viaggio che parte da quando abbiamo intrapreso la via di un lavoro libero, scollegato dai dettami del commercio e dell’industria. È questa la vera Antonella, che si muove in maniera consapevole e aperta al mondo: al mondo musicale e al mondo in generale. Noi ascoltiamo musiche che non passerebbero mai per radio, abbiamo una visione della vita molto diversa da ciò che solitamente avviene tra i musicisti e i cantanti, specie al giorno d’oggi. Siamo nell’epoca dei “talent”, delle apparizioni fugaci e delle grandi illusioni? Noi invece ci avviciniamo alla minuzia dell’artigianato in senso alto, senza badare alle dinamiche della discografia. È chiaro che non puntiamo alla facile diffusione, ci rivolgiamo a chi ama la vera musica nella sua elevata bellezza».
Come nasce il titolo della raccolta? Quando facevo la cantante guarda davvero al passato o è una scherzosa strizzata d’occhio che non esclude un futuro?
«È nato una sera a casa dopo una lunga tournée, ero molto stanca e mi è uscita questa frase. Poi però ci abbiamo riso sopra e abbiamo pensato che sarebbe stato un bel titolo per un’opera discografica che dimostrasse quanto sia ancora possibile fare musica con competenza e senza sottostare a nessun compromesso: è un privilegio raro, una vera meraviglia. Al di là dei numeri, cui non pensiamo mai altrimenti le scelte sarebbero diverse, siamo sereni e fieri».
Che nuovi progetti ha allora in serbo Antonella Ruggiero per il futuro, per quando farà la cantante?
«C’è sempre qualcosa che lavora nella mente e fa sì che quella piccola fabbrica chiamata cervello continui a ideare. Ora amerei lavorare per le generazioni che, secondo me, soffrono di più a causa di questa pressione costante data da tutto ciò che hanno intorno, soprattutto dagli oggetti, veri tiranni visti come irrinunciabili e capaci di rovinarci l’esistenza. Mi riferisco ai bambini e agli adolescenti, oggi incapaci di entrare in un mondo musicale che rallenti la presa sul cervello e dia equilibrio. Nei ragazzini vediamo troppe alienazioni, che a volte sfociano in azioni drammatiche, ma non è colpa loro, è questo periodo storico che morde e non molla la presa. Un genitore che non può permettersi di comprare gli “oggetti” cosiddetti indispensabili per il figlio crede di essere inadeguato e si deprime, e i ragazzi senza quegli “oggetti” si sentono degradati: è una catena orrenda, costantemente sotto i nostri occhi, come non accorgercene? Oggi non è in corso una guerra fisica, non ci sono bombe che buttano giù i palazzi, ma buttano giù i cuori e le personalità, lasciando i nostri figli profondamente soli nonostante tanti social e telefonini. Una solitudine così in passato non c’era mai stata, nemmeno ai tempi della guerra, quando la solidarietà era una ricchezza. La semplicità è diventata un lusso per pochi fortunati».
Un quadro realistico e preoccupante. Concretamente, la musica può davvero aiutare a cambiare le cose?
«La musica è spirito e può fare molto, educare al bello, aprire al mondo. Bisogna mandare al diavolo le leggi del mercato e scegliere il messaggio positivo, ma per questo è necessario tornare ad essere artigiani, rinunciare ai grandi giri, anche a costo di aprirsi una propria etichetta discografica. Noi lo abbiamo fatto dal 1996. E l’abbiamo chiamata Libera».