sabato 14 giugno 2014
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​Un uomo sepolto da una colonna di terra. Una donna appesa a una corda e sottoposta alle sferzate di un vento spaventoso. Un uomo avvolto dalle fiamme (senza però bruciare). Un giovane appeso per i piedi e sommerso da una cascata d’acqua. Sono i Martyrs, i martiri dell’ultima videoinstallazione di Bill Viola. Il lavoro dell’artista americano da tempo riflette sui temi e le iconografie del sacro. La novità è però che l’opera è un nuovo altarpiece per la cattedrale di St. Paul a Londra, dove è stata inaugurata il 21 maggio scorso. Nel 2015 si aggiungerà Mary, dedicata alla Vergine. Anche se di fatto non è una pala d’altare, il telaio in acciaio con i quattro schermi evoca un polittico medievale. Ma soprattutto, Martyrs e Mary sono opere pensate per un luogo di culto. Entrambe infatti sono state commissionate dalla cattedrale londinese, ben 11 anni fa – a riprova che operazioni simili sono difficili a qualsiasi latitudine.In Martyrs il supplizio avviene per mezzo dei quattro elementi. All’inizio gli individui sono in una situazione di stasi. Gradualmente, con la lentezza tipica del lavoro di Viola, ogni elemento comincia a disturbare la loro immobilità. Ma se la rabbia degli elementi cresce fino a raggiungere l’apice della violenza, non muta la loro tranquillità. Quindi tutto si placa, per ricominciare. «Essi esemplificano la capacità umana di sopportare dolore, prove e persino la morte per restare fedeli a valori, credo e principi – ha detto l’artista –. Quest’opera rappresenta le idee di azione, fortezza, perseveranza, resistenza e sacrificio». Martyrs sarà in relazione con Mary: «Questi due lavori simbolizzano alcuni dei profondi misteri dell’esistenza umana. Uno riguarda la nascita e l’altro la morte; uno il sollievo e la creazione, l’altro la sofferenza e il sacrificio. Se raggiungerò il mio obiettivo, entrambe le opere funzioneranno sia come oggetti estetici di arte contemporanea che come oggetti pratici di contemplazione e devozione tradizionali».Alcuni anni fa il canonico Martin Warner, tesoriere di St. Paul, parlando del progetto aveva affermato che «i nuovi video dovrebbero attrarre alcuni dei 5 milioni di turisti che visitano ogni anno la Tate Modern, sul lato opposto del Millenium Bridge. L’arte oggi cattura l’immaginazione delle persone in un modo che forse il discorso narrativo non riesce a fare. L’enorme numero di visitatori della Tate per noi sono un’indicazione del fascino che ammanta l’espressione di ciò che è intangibile ma reale, qualcosa di molto vicino a ciò che riguarda la fede cristiana». Video di Viola sono già entrati in chiese, ma solitamente per progetti temporanei: The Messenger nella cattedrale di Durham nel 1996, The ascension nel 2004 nel Duomo di Milano, Tempest nel 2008 nella stessa St. Paul e in questi giorni The Passions nella cattedrale di Berna. Martyrs è invece permanente. Milano vanta ancora due primati sotto questo aspetto: sempre di Viola nella chiesa di San Marco dal 2002 è installato il trittico Study for the path mentre nel 2005 nella cripta del Duomo è presente il video Via Dolorosa di Mark Wallinger. È però la prima volta che questo accade in una cattedrale del Regno Unito. E la cosa ha suscitato un vivace dibattito sulla stampa inglese, non tanto sull’opera ma sul rapporto tra arte contemporanea e sacro, fatto non scontato in una società dai media fortemente secolarizzati come quella britannica.«Da un certo punto di vista, Viola ha dato alla Chiesa d’Inghilterra una botta d’adrenalina – ha scritto il critico Jonathan Jones sul suo blog del “Guardian” – un’esplosione di Caravaggio hi-tech. Viola però trasforma l’idea del martirio da una violenta macelleria in qualcosa di stranamente immobile, silenzioso e stimolante, e ne arriva al cuore. Bill Viola è uno dei più importanti artisti del nostro tempo perché ha il coraggio di impegnarsi in queste grandi domande, e la chiarezza di farlo in un modo universalmente convincente. Gli atei non hanno ancora costruito spazi speciali per questo tipo di arte profonda». Freddo invece Mark Husdon del “Telegraph”: «Ci aspetteremmo una certa gravitas in un’opera presentata in una chiesa. Anche se il fondo scuro richiama quello dei dipinti barocchi, l’illuminazione ricorda uno spot automobilistico. La presentazione è troppo sterilizzata nelle associazioni per infiammare. Mi sento riluttante a versare acqua su un progetto che tenta di rinnovare la tradizione delle chiese come luoghi di meraviglia. L’opera non mi convince, ma spero di essere una minoranza». «L’arte moderna odia la religione?» si chiede invece Alastair Sooke sul sito della Bbc. E dopo aver riepilogato i casi di uso shock dell’immaginario cristiano tra gli artisti contemporanei, racconta quelli in cui gli stessi temi vengono recuperati in modo attento. «Siamo tutti alla ricerca di un linguaggio vibrante e universale con il quale esplorare le domande spirituali. Per molti, il vocabolario religioso non c’è più e quindi abbiamo bisogno di trovare forme condivise per avviare la conversazione. L’arte è una di queste. Quindi non c’è da restare sorpresi se, quando si incontrano, artisti e persone di fede scoprono di condividere interessi e preoccupazioni. Gli artisti contemporanei hanno un apporto enorme da offrire alla Chiesa, e viceversa».
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