«Devi assolutamente pubblicarlo, perché è molto bello». Per anni la sollecitazione di don Giuseppe De Luca ad Adriano Ossicini a rendere pubblico il suo diario non aveva avuto seguito. La vicenda politica, legata all’«avventura», autonoma e anche arrischiata, della Sinistra cristiana basata sull’alleanza non transitoria ma organica con il partito comunista per sconfiggere il fascismo e i tedeschi durante la Resistenza, che lo aveva visto tra i protagonisti nel periodo tra il 1936 e il 1945 quando il partito si sciolse, è stata scandagliata e approfondita dalla storiografia nei suoi diversi aspetti. Lo stesso Ossicini, senatore per 7 legislature nel gruppo della Sinistra indipendente, vice-presidente del Senato, con una breve esperienza di ministro per la famiglia nel governo Dini, aveva già offerto non pochi contributi personali a una maggiore comprensione di questa tormentata stagione della nostra vita politica che chiamava in causa, in un intreccio di relazioni ancora non del tutto esplorate, la Chiesa e i due grandi partiti, la Dc di De Gasperi e il Pci di Togliatti. In realtà l’80% del materiale (documenti politici e personali, copie di lettere, ritagli di giornali, rapide annotazioni) era ancora conservato nei cassetti di Ossicini ed ora viene alla luce in un corposo volume (
La sfida della libertà, Il Margine. pp. 368, euro 20) che parte dall’antifascismo e arriva alla nascita della nostra democrazia. Con alcune notazioni che trascendono l’esperienza della sinistra cristiana, nelle sue varie denominazioni («partito cooperativista sinarchico», «partito comunista cristiano», «sinistra giovanile cattolica», «movimento dei cattolici comunisti», «movimento dei lavoratori cristiani» nell’Italia del Nord) che consentono di verificare il comportamento di componenti sempre più estese del mondo cattolico.Certo, Ossicini parte dal retroterra familiare: il padre «solido antifascista, dirigente del disciolto Partito popolare, sempre all’opposizione»; la madre impegnata nella Fuci. Ma il suo antifascismo si accompagna al distacco crescente di non pochi circoli giovanili cattolici (a Roma ma non solo) e della Fuci nei confronti del fascismo. Al convegno degli universitari cattolici ad Orvieto, Ossicini denuncia pubblicamente l’esistenza di una dittatura che aveva «cancellato ogni libertà» e i presenti lo guardano «come se fosse impazzito», annotò l’allora studente Vittorio Emanuele Giuntella. La sua attività e quella dei suoi amici (giovani cattolici e militanti nel Pci, come Ingrao), che si stanno ormai organizzando sempre più non solo della capitale, suscita l’attenzione delle forze dell’ordine (ministero degli Interni, Ovra, ufficio politico della Questura). Un gruppo di giovani cattolici viene arrestato. In loro favore si muove Pio XII che, tramite il cardinal Maglione, riesce ad ottenerne la liberazione. Ossicini, ricoverato nell’infermeria di Regina Coeli, rifiuta di chiedere la grazia ed è destinato al confino; lo salva il 25 luglio. Andreotti gli scrive che, per non danneggiarlo, Pio XII aveva cambiato il testo di un suo discorso e gli invia un assegno a nome della Fuci perché «potessi curarmi e ristabilirmi». Tornato in libertà, Ossicini si reca da Pio XII per ringraziarlo; e il Papa gli dice: «La coscienza è vostra. Noi si è fatto ciò che si doveva fare, ma adesso si apre un periodo di impegno fondamentale per tutti. Cercate di non fare cose sbagliate». Con l’8 settembre inizia la Resistenza. La formazione di Ossicini è impegnata in tre combattimenti alla Montagnola, nella via Ostiense, a Porta San Paolo. Il suo giudizio sulla lotta di Liberazione è esplicito: non è stata guerra civile. «La Resistenza fu un aspetto fondamentale della guerra combattuta agli ordini di un governo legittimo contro i tedeschi. Roma fu sempre territorio di guerra sotto il controllo dei nazisti e la lotta da noi fu fatta su richiesta degli Alleati». Nei sotterrerai dell’ospedale Fatebenefratelli era stata impiantata una radiotrasmittente per comunicare con il governo di Brindisi e gli Alleati e nello stesso ospedale fu organizzato un reparto per ricoverare gli ebrei, tutti colpiti dalla «sindrome SK» («sindrome Kesserling»). Un generale italiano fermato dai tedeschi fu liberato da Gianluigi Rondi che, con documenti falsi, aveva raggiunto l’albergo dove era stato portato. Con un mandato di scarcerazione falso furono fatti uscire Saragat, Pertini e altri 5 socialisti detenuti. Ma soprattutto case religiose, monasteri, conventi, parroci e suore anche di clausura furono mobilitati. «Noi vi daremo tutto l’aiuto che possiamo per il lavoro che fate nell’aiutare gli sbandati», gli aveva detto il cardinale vicario di Roma, Marchetti Selvaggiani. Annota Ossicini: «Tutte le cose fondamentali che noi facemmo erano ufficialmente conosciute dal Vaticano. Il nostro movimento non aveva fondi e senza l’aiuto della Santa Sede la mia attività a Roma e fuori Roma sarebbe stata impossibile».