Per una volta tanto, si parla di Unità d’Italia senza riferimenti soltanto a Cavour e a Mazzini, e anche Garibaldi non entra nemmeno di striscio. In quale libro di scuola sono citati Cottolengo e don Bosco? Al Meeting non poteva sfuggire l’anniversario tricolore e all’Unità del Paese dedica la mostra più importante per dire che ci sono stati 150 anni unitari, ma anche altrettanti anni di sussidiarietà. In mostra pure quello che precede il 1861: una civiltà ricca di diversità alla quale hanno contribuito tutti gli italiani in diversi modi, con il loro lavoro. E sono questi protagonisti, mai ricordati abbastanza, come i santi piemontesi, che pongono le basi di una sussidiarietà e di un welfare ante litteram che ha contribuito a far crescere il Paese. La storia, la storia ultima che celebriamo oggi, comincia anche da qui, da questi “santi sociali”.Designano un mondo che non è parallelo o antagonista al moto risorgimentale, perché, per restare nell’esempio, una fitta trama di relazioni li collega al mondo politico subalpino. “È un mondo – dicono i curatori della mostra - che giudicano con lucidità, senza fermarsi alle contrapposizioni ideologiche del tempo”. Ieri la presentazione della mostra già visitata da Giorgio Napolitano. A parlarne, due dei docenti che, con i loro studenti, l’hanno preparata e allestita: Maria Bocci, storica della Cattolica di Milano, e Marta Cartabia, ordinario di Diritto costituzionale alla milanese Bicocca. C’è poi un qualificato ospite, Giuliano Amato, in veste di presidente del Comitato dei Garanti per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Si parla di quest’altra unità poco conosciuta che i curatori della mostra riassumono con un giudizio di Benedetto XVI: “La comunità politica unitaria nascente a conclusione del ciclo risorgimentale ha avuto come collante che teneva unite le pur sussistenti diversità locali, proprio la preesistente identità nazionale, al cui modellamento il Cristianesimo e la Chiesa hanno dato un contributo fondamentale”.“Gli italiani – dirà anche Amato – erano un “noi”, prima ancora che qualcuno si mettesse a lavorare per dare a loro uno Stato unitario”. La lezione del passato per Amato è soltanto una: “Cercare in esso quel “noi”, quell’essere italiani, compiendo la scelta di preferire ciò che si è fatto insieme, ciò che ci ha unito e che possa continuare a unirci in futuro”. L’ideale di oggi, a suo dire, si può raccontare con le cronache economiche dei giornali, fatte di crisi, di euro e di mercato, ma anche con quanto occorre per vivere un futuro comune. Poi aggiunge: “Chi in Italia cerca i Celti e i Borbone mette a rischio non dico l’unità italiana, ma mette in dubbio la ragione per stare insieme in futuro". Amato fa il possibile per non cadere in tentazione, però inciampa nella politica delle ultime ore: “C’e’ troppa Sardegna nella vita politica italiana di questi anni: e dicendolo chiedo scusa alle famiglie sarde...” Prende fiato e, con visibile avvilimento, aggiunge: “Mi chiedo dove abbiamo sbagliato o cosa abbiamo fatto di male, davanti a ragazze conquistate dal miraggio di diventare veline o di salire su un yacht a Porto Rotondo, e davanti a genitori orgogliosi del fatto che una propria figlia venga eletta Miss lato B... È fondamentale – conclude - rimettere in uso le risorse morali che abbiamo, per dare forza ad un ’noi’ che guarda al futuro e contrastare l’assolutezza dell’io”.La mostra dedica un grande spazio alle vicende che portarono alla Carta Costituzionale. Questa sezione è stata curata, in particolare, da Marta Cartabia che confronta il clima di crisi di quegli anni con quelli attuali: “Esistevano tutte le condizioni per un possibile fallimento della Costituente, fu soltanto il giudizio sul passato a consentire l’aprirsi di un nuovo inizio”. L’unico collante tra le forze politiche era l’antifascimo, ma mancavano i modelli su cui plasmare il futuro del Paese. Non il totalitarismo, dunque, ma nemmeno l’individualismo liberale e il collettivismo socialista. “Valse – spiega la costituzionalista – il modello antropologico, il criterio per cui l’altro è considerato come uno di noi”. Segno di tutto questo, per la giurista, è l’articolo 2 della Costituzione che, nello stabilire che la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, fa riferimento a una realtà che precede lo Stato.
«LA PRESENZA CRISTIANA PLASMO' LA PENISOLA»Maria Bocci insegna Storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano. È uno dei docenti che ha curato la mostra sui 150 anni di sussidiarietà. La mostra è unica, perché protagonisti sono gli studenti. Per una volta, le università si sono trasformate in vivaci laboratori culturali. Si sono impegnati studenti della Cattolica e della Statale e della Bicocca di Milano.
Professoressa, un modo nuovo anche per insegnare storia. Facendola. È così?Questi studenti hanno dimostrato una grande apertura e una curiosità intellettuale non sempre diffuse negli atenei italiani. La mostra è il frutto, dunque, di un confronto reciproco e di continui approfondimenti che si sono prolungati nel corso di un anno accademico e che hanno trasformato alcuni luoghi della cultura milanesi, che a volte rischiano di essere semplici distributori di titoli di studio, in una vera e propria comunità universitaria.
La mostra vuole rispondere a un grande interrogativo: cosa ha tenuto insieme gli italiani. Qual è stata la risposta?Cosa li ha tenuti e continua a tenerli insieme, perché dall’Unità abbiamo vissuto traumi profondi che hanno inciso nel vissuto collettivo. La risposta è semplice: c’è stata un’unità culturale nazionale; prima ancora della nazione. Esiste un patrimonio condiviso, fatto di tanti elementi: il retaggio romano, una fonte unica del diritto, e poi l’amore per il bello e un fervore creativo che sono scaturiti da un cristianesimo incarnato nella vita degli italiani.
Questo contributo cristiano viene spesso dimenticato… Quella degli italiani è una fede che si è radicata nella realtà, dentro le fibre del tessuto sociale, e lo ha plasmato per renderlo più ospitale e compassionevole, anche se, naturalmente, non sono mancanti momenti di smarrimento e periodi di oscurità. La storia plurisecolare della penisola è però marcata da questa carità messa in opera, fonte di una tradizione civica che si è tradotta in iniziative educative, ospedaliere ed assistenziali, che per secoli hanno aiutato a rendere più sopportabile l’avventura della vita comune.
Come si realizza questa partecipazione?La presenza cattolica nella società, a partire da Don Sturzo, si traduce in una proposta originale, che immette nel circuito politico idee destinate a fare molta strada, come la riforma agraria, il decentramento amministrativo e la valorizzazione dell’ente locale. È soprattutto il partito di Sturzo ad avere una visione sussidiaria, che punta sui corpi intermedi, sul regionalismo e sul decentramento per costruire uno Stato veramente popolare. Alcuni soggetti sociali trovano poi il modo di interagire con le contingenze politiche del momento, cercando nuove strade per non perdere la possibilità di continuare ad essere un punto di riferimento per gli italiani. Succede ad esempio con il vecchio movimento cattolico, che diventa Azione Cattolica.