giovedì 14 agosto 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Murray Gell-Mann, nato a Manhattan nel 1929, era un bambino prodigio che pensava a un suo futuro di archeologo, di linguista o di ornitologo. Il padre, però, gli impose di fare l’ingegnere o il fisico, nonostante il piccolo Murray gli facesse presente che, fra tutti i corsi che aveva frequentato, quello di fisica era stato il più scarso. Ma un tempo l’autorità dei genitori non si discuteva e Murray, seppure a malincuore, abbandonò i suoi sogni di bambino e ubbidì al padre che, a quanto si dice, gli aveva fatto presente che come ornitologo sarebbe certamente morto di fame. Murray, allora, si decise per la fisica ma nel frattempo diventò anche uno straordinario collezionista di ceramiche precolombiane e, a dimostrazione che era per davvero un bambino prodigio, si laureò in fisica all’Unniversità di Yale a soli diciannove anni; e a trentacinque, nel 1964, avrebbe scritto il suo nome fra i grandi della fisica moderna per aver ipotizzato l’esistenza dei quark. Per la verità, indipendentemente da lui, anche George Zweig del Cern di Ginevra era giunto alla stessa conclusione: ma quando si parla di quark si fa sempre il nome di GellMann perché fu lui, cinquant’anni fa, a battezzare quelle particelle con quel nome un po’ strambo. E a dimostrazione che i fisici non sono interessati solamente alle formule e ai simbolismi matematici ma fanno l’occhiolino anche alla cultura umanistica, va sottolineato che il termine quark deriva proprio dalla letteratura. Gell-Mann, infatti, si ispirò a un passo oscuro della famosa Veglia di Finnegan di James Joyce, un libro che il fisico consultava spesso per cercare di capire certi passi oscuri e quella volta si imbatté in una specie di filastrocca che iniziava con il verso «Three quarks for Muster Mark!». E così il termine quark entrò nella fisica. Ma a questo punto, per capire il ragionamento di Gell-Mann, occorre fare un passo indietro, quando Leucippo prima e Democrito poi ( V-IV secolo a.C.) proposero l’ipotesi atomica per spiegare la struttura della materia. L’atomismo è una teoria la cui straordinaria vitalità è testimoniata da questa considerazione di Richard Feynman: «Se tutta la conoscenza scientifica – si chiedeva Feynman – dovesse andare distrutta in un cataclisma e una sola frase potesse essere trasmessa alle generazioni future, quale enunciato avrebbe il maggior contenuto di informazioni nel minor numero di parole? Io credo che questo sarebbe l’ipotesi atomica». E l’ipotesi atomica, così come fu formulata, ha attraversato più di duemila anni di storia fino ad approdare all’inizio dell’Ottocento quando i chimici, indagando la struttura dell’atomo, si trovarono di fronte a una particella composita. E l’atomo da entità indivisibile si rivelò una straordinaria scatola cinese. Dentro all’atomo, infatti, furono scoperti elettroni, protoni e neutroni, particelle ritenute indivisibili e dunque ultimo baluardo della divisione della materia. Ma alla luce delle nuove teorie anche queste particelle ritenute indivisibili si sono rivelate a loro volta composte di nuove entità, chiamate per l’appunto quark. Esistono sei tipi di quark, che sono stati chiamati in maniera pittoresca up (su), down (giù), charm (incanto), strange (strano), top (alto) e bottom (basso). A questi bisogna aggiungere altrettanti gli anti-quark e pertanto il loro numero sale a dodici. In natura i quark non esistono liberi, ma entrano a far parte della struttura delle particelle come in un puzzle. Un protone, ad esempio, è formato da tre quark (due up e un down), mentre un neutrone è la combinazione di due down e di un up. Dunque per formare protoni e neutroni occorrono tre quark e fu proprio mentre Gell-Mann se ne stava immerso in questi pensieri che gli capitò di imbattersi nella frase di Joyce « Three quarks for Muster Mark!». Era una frase che, come spesso nella Veglia di Finnegan, o non significava nulla o poteva avere molti altri significati ma quel “three” intrigò a tal punto Gell-Mann che utilizzò “quark” per dare un nome alle sue particelle. Per la sua intuizione nel 1969 si guadagnò il Nobel per la fisica. L’ipotesi dei quark è stata confermata alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso da alcuni esperimenti condotti nel grande acceleratore Slac (Stanford Linear Accelerator Center) nel corso dei quali venivano sparati elettroni ad alta energia contro protoni e neutroni. Analizzando i residui delle collisioni si notò che gli elettroni urtavano contro oggetti puntiformi ed elettricamente carichi (i quark) che si trovavano al loro interno. Alla luce di quanto è stato detto, dunque, le vere particelle indivisibili di Leucippo e Democrito sarebbero i quark, ma non è detto che questi rappresentino il limite di divisibilità della materia. Tullio Regge già all’inizio degli anni Ottanta scriveva nel suo Cronache dell’universo (Boringhieri) che già qualcuno andava ipotizzando l’esistenza di particelle ancora più piccole dei quark. Sembra, dunque, che la divisibilità della materia non abbia limiti.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: