sabato 29 novembre 2008
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Ogni volta che si entra in un museo e ci si trova di fronte a un capolavoro dell’arte del passato che ha una evidente tematica religiosa, si rischia di dimenticare che spesso si tratta di opere che ebbero una funzione nel contesto liturgico fin quando vennero, per cause ormai consegnate alla storia, spostate in un museo (che, è bene non dimenticarlo, è istituzione culturale di conio piuttosto recente avendo pochi secoli di vita). Il museo però non è un luogo sacro, anche se qualcuno insinua che potrebbe diventarlo nel momento in cui un’opera d’arte sacra vi fa ingresso. È di ieri la polemica l’arcivescovo di Westminster Cormac Murphy O’Connor con la National Gallery di Londra, dove il capo della Chiesa cattolica inglese chiede che venga restituito al culto uno dei dipinti più importanti di Piero della Francesca: il Battesimo di Cristo. Piero non è nuovo a queste polemiche, è nota a tutti quella che dura da anni tra il Comune di Monterchi e la Diocesi di Arezzo a proposito della Madonna del parto, oggi collocata in un museo costruito ad hoc e fino a pochi decenni fa alloggiata nella chiesetta del cimitero (che non era il suo luogo d’origine). Di qualche giorno fa poi è un’altra polemica, questa volta tra i dirigenti della Galleria Tretjakov di Mosca e la Chiesa ortodossa russa. Il patriarca Alessio II si è visto negare il prestito per tre giorni del dipinto più celebre di Andrej Rublëv, la grande icona della Trinità, per poterlo esporre nel monastero di Serghej Posad, cuore dell’ortodossia. Il patriarca si è dunque rivolto direttamente al ministero, ma i responsabili del museo hanno avviato una raccolta di firme contro l’iniziativa. Vedremo come andrà a finire. Se si osservano in questi giorni le lunghe file davanti alla Conversione di Saulo del Caravaggio esposto temporaneamente a Milano, oppure si confrontano le code per le mostre di Mantegna a Parigi e di Bellini a Roma, il dubbio che l’arte sacra oggi abbia trovato una nuova casa che fa concorrenza alle chiese può legittimamente venire. Ma perché accade questo? E soprattutto: un’opera d’arte sacra che entra nel museo perde la sua funzione e diventa soltanto un oggetto culturale, oppure mantiene intatta la sua sacralità? E ancora: sarebbe opportuno che i musei restituissero (pur mantenendone la proprietà), alcuni importanti dipinti affinché vengano ricollocati in luoghi destinati al culto? «Se si parla dell’icona – premette Adriano Dell’Asta, studioso della cultura russa – non bisogna dimenticare che essa è cosa diversa da un’opera d’arte a soggetto religioso, l’icona è "arte sacra". Molte vennero espropriate alle chiese russe in seguito alla politica antireligiosa sovietica. Credo che la richiesta di Alessio II possa essere legittima: la collocazione naturale dell’icona è la chiesa, naturalmente se questa ne garantisce la cura e la salvaguardia». Anche per monsignor Timothy Verdon, storico dell’arte e teologo, la faccenda è complessa: «A rigore, dove esiste la chiesa originaria e dove le condizioni fisiche del luogo siano ancora quelle iniziali e dove, infine, la comunità abbia la cultura e le possibilità economiche per curarla affinché i fedeli possano pregarvi davanti può essere comprensibile e in qualche caso accettabile...». Verdon usa il condizionale perché in realtà queste sono soltanto le precondizioni necessarie alla «restituzione». Che cos’altro ci vuole? «Beh, a parte il fatto che molte opere presenti nei musei non sono state espropriate, ma regolarmente acquistate, la questione si fa delicata – replica il monsignore –. Dobbiamo considerare, se pensiamo al Battesimo di Piero, che si tratta di una pala d’altare, cioè un’opera di fronte alla quale il sacerdote celebrava la Messa alzando di fronte a essa il corpo e il sangue di Cristo. Se accadesse di nuovo, siamo certi che i fedeli di oggi sarebbero capaci di comprendere il profondo significato spirituale dell’opera in quel contesto?». La domanda è provocatoria. Forse ancora di più se si parla di icona. Che cosa cambia nella funzione e nel significato di un’icona, nata per stare il un luogo di culto, quando entra in un museo? «Nulla – risponde Dell’Asta –. Anzi, paradossalmente, potremmo dire che a cambiare non è l’icona ma il museo, che viene trasformato in una chiesa. Non si dimentichi che l’altro luogo della tradizione ortodossa in cui vediamo l’icona, è la casa, che diventa in quel modo luogo sacro». Il museo-chiesa, oggi, sembra però frequentato perlopiù da un nuovo tipo di «credente»: il turista culturale. Code sterminate di persone che cercano nell’arte il segreto che se anche non dà l’immortalità almeno tonifica la mente e i sensi grazie a un’overdose di bellezza. «D’altra parte, perché dimenticare che molte pale d’altare non sono nate per un luogo specifico – dice Verdon – sono state dipinte quasi in modo seriale dai grandi artisti che riproducevano schemi tipici. E poi, per stare alle due opere di Piero che hanno suscitato in questi anni delle polemiche, bisogna dire che né il Battesimo né la Madonna del parto possono essere ricollocate nei loro luoghi originari, perché non esistono più. Mettere il Battesimo in una brutta chiesa cattolica inglese (quelle belle sono finite tutte agli anglicani) che senso avrebbe? Aiuterebbe davvero i fedeli a pregare? Almeno alla National Gallery hanno creato una sala ad hoc, collocando l’opera su una mensola che vuol dare l’idea di un altare e ai lati vi sono altre due opere di Piero». Si torna dunque all’immagine del museo-chiesa. Finirà che se uno vuol pregare di fronte a un’opera d’arte sacra dovrà entrare al museo con un inginocchiatoio portatile e compiere un gesto davvero controcorrente?
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