mercoledì 14 settembre 2011
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Da una parte lo scrittore morto ventisettenne combattendo da volontario nella Grande Guerra , l’autore dell’autobiografia Il mio Carso (ora ripubblicato da Mursia) oltre che di parecchi scritti sulla Trieste dell’epoca, ai suoi occhi senza «tradizioni di coltura». Dall’altra una figura-chiave nella cultura del nostro ’900, il fondatore e direttore di quella Voce, specchio di tanti problemi del Belpaese di ieri (e di oggi), poi docente alla Columbia University, corrispondente da New York di diversi giornali, letterato anarchico-conservatore morto centenario a Lugano nel 1982. Insomma: Scipio Slataper e Giuseppe Prezzolini. In mezzo, 235 documenti, fra lettere, cartoline, biglietti, scritti fra il 1909 e il 1915, sino a tre mesi prima della morte dello scrittore triestino, testimonianza della loro collaborazione nell’officina della <+corsivo>Voce<+tondo> nonché di una grande amicizia. Un carteggio finalmente completo. Che consente di capire la complessa personalità dei due corrispondenti. Sino a scoprire, in particolare, un sorprendente Prezzolini che si confida con Slataper, aprendosi con una schiettezza difficile da riscontrare altrove: «Dovevo partire per l’America con Papini, per fondare una religione laggiù! La religione della volontà, dell’Uomo-Dio. Sul serio. Una religione. Abbandonai mia moglie, che mi amava, che mi aveva amato a quel modo. Nessuno ha mai capito perché l’ho fatto, sai. Come vuoi capire queste pazzie da intellettuali cattivi? Non durai tre giorni, e la rivolli con me... Vinsi». E, ancora: «Lotto sempre, perché dentro me c’è il male. Ma ora sono tranquillo. Non ho rammarico. Tutto questo era necessario. Redenzione. E cerco di seguire il tuo consiglio (come mi facesti bene): dare altra vita. Di comune accordo abbiamo voluto un figlio. Ora questa è la nostra speranza», gli confida alla fine di una lunga confessione piena di particolari intimi, il 23 agosto 1910. Non a caso fra i due si era stabilita da subito una profonda sintonia sfociata nella volontà di vicendevole sostegno nelle difficoltà professionali, ma anche umane. «Sì, la tua – confessava Prezzolini al giovane triestino il 30 agosto 1910 – è la prima amicizia mia che ho».Era trascorso un anno e mezzo dal loro primo incontro, quando Slataper era arrivato a Firenze per gli studi universitari, e di lì a poco aveva cominciato a far leggere al fondatore della Voce cose sue come il bozzetto Il freno. «È bello – lo giudicò Prezzolini il 5 aprile 1909 – Fa pensare cristianamente che bisogna esser sempre pronti alla morte anche se in senso non cristiano. Che orribile umanità è mai quella che non sa che rannicchiarsi di fronte alla morte...». Presto inizia anche la collaborazione alla rivista fiorentina con le Lettere triestine e non solo. Via via, come palesa il Carteggio 1909-1915, curato da Anna Storti (Edizioni di Storia e Letteratura, pagine XXXVIII+302, euro 46), il loro colloquio si fece particolarmente intimo. Scipio si rivolgeva all’amico come a un fratello maggiore. Prezzolini non gli lesinò mai comprensione, specie in due momenti: nell’estate del 1909, quando Slataper si disperò per la madre gravemente malata, e nel maggio 1910, quando si suicidò Anna Pulitzer, la giovane donna da lui amata. Il loro legame si rafforzò, mantenendosi sempre intenso, salvo un "raffreddamento" dopo la fine del 1912, momento critico per la Voce, anche per la partenza di Slataper da Firenze dopo la laurea. E fu a Slataper (vicino ad Ardengo Soffici, poi a Giovanni Amendola, meno a Papini) che Prezzolini pensò più volte di affidare la direzione del periodico. «Io ho pensato a te come direttore di questa impresa. Un altro anno anche se continuo, per qualche mese ho intenzione di allontanarmi per un mio lavoro. Ti dirò poi. Allora tu dirigeresti la Voce. Tu sei senza compromessi sul passato, hai più dimestichezza di me con le Muse e rispetto quanto me per la vita sociale», così a Scipio nell’agosto 1909, riformulando successivamente la proposta e apprezzando il lavoro di Slataper quando gli capitò di lasciargli la responsabilità del periodico trovandosi all’estero. Ad esempio nella primavera 1910 quando, a Parigi, lavorò alla mostra sugli impressionisti, ammirandoli tutti, salvo Monet. «Gli impressionisti son grandi. Degas più di tutti. Cézanne val molto. Nuova la grandezza di Renoir. Monet è un uomo che ha sbagliato strada»: questa, l’8 marzo di quell’anno, la sintesi di Prezzolini. Nella metropoli francese conobbe alcuni personaggi, che erano già dei "miti" per i vociani: Romain Rolland, Charles Peguy, George Sorel. Il proposito di lasciare la direzione della Voce si riaffacciò più volte. «La crisi più acuta si verificò nell’autunno 1911, allorché le discussioni sulla linea che la rivista avrebbe dovuto tenere nei confronti dell’impresa di Libia portarono al distacco di Salvemini e indussero Prezzolini a ritirarsi per qualche tempo. Anche in quell’occasione egli volle che a sostituirlo fosse Slataper (...) nonostante il parere contrario di altri collaboratori che lo giudicavano ancora non maturo», spiega nell’introduzione al Carteggio Anna Storti. Dopo quell’esperienza, Slataper rinuncia all’incarico, che va temporanea a Papini, poi torna Prezzolini più vicino all’idealismo di Gentile. Nel frattempo Scipio aveva preso le distanze dalla rivista, concentrandosi sulla sua tesi di laurea dopo la quale lasciò Firenze trasferendosi ad Amburgo come docente al Kolonial Institut. Da qui tornò a scambiare qualche lettera con Prezzolini. Poi, dopo lo scoppio del conflitto, il dialogo tra gli amici riprende . Non è la volta della letteratura, della politica, del futuro di Trieste, dell’arte, del teatro di Hebbel o Ibsen, ma delle informazioni militari, della guerra... Quella che spezza la vita di Scipio sul monte Calvario, il 3 dicembre 1915.
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