«Mi stupisce sempre il modo in cui si tende a banalizzare una figura straordinaria come san Francesco facendo prevalere l’aspetto agiografico più elementare: l’amore per la natura, il parlare con gli uccellini... Allo stesso tempo è incredibile come dallo studio dei suoi rapporti con le gerarchie ecclesiastiche, in particolare con la curia papale per la questione dell’approvazione della Regola, emerga un san Francesco a tutto tondo. Una persona che attraverso la fede, la sensibilità umana, l’umiltà, la caparbietà, la coerenza cristiana, la povertà estrema riesce a superare ogni ostacolo portando sulle sue posizioni papi e cardinali, con idee e stili di vita molto lontani dai suoi».Maria Pia Alberzoni, docente di Storia medievale alla Cattolica di Milano, da una decina d’anni conduce studi sugli ordini mendicanti e i loro fondatori. Un lavoro dal quale è nato
Santa povertà e beata semplicità. Francesco d’Assisi e la Chiesa romana (Vita e Pensiero, pp. 308, euro 25). Libro che approfondisce la vasta documentazione esistente con i fatti e i personaggi che la legano insieme, restituendoci il ritratto del Poverello nella sua complessità.
Ma la popolarità di tanti santi è legata proprio all’agiografia.«C’è dell’agiografia molto buona, ma spesso incorre nel difetto di raccontare il personaggio in funzione della santità slegando gli episodi dai riferimenti e dai contenuti storici».
Ha un esempio significativo a riguardo?«Il ministro generale dei Minori, Girolamo Masci, quando diventa il primo papa francescano col nome di Nicola IV (1288-1292), fa aggiungere a una biografia del Fondatore un episodio, che gli era stato riferito, relativo all’incontro fra il Santo e Innocenzo III: Francesco arriva, il Papa commenta che un simile straccione dovrebbe solo rotolarsi fra i maiali. Lui esegue e si ripresenta. Innocenzo resta colpito e dopo averlo fatto lavare lo ascolta. Tutto questo per mettere in evidenza la santità di fronte all’arroganza del potere e senza alcuna certezza sull’accaduto. Ma Francesco quando incontra Innocenzo non ha l’aureola, è considerato eccentrico e chiede qualcosa che per le norme dell’epoca non è possibile avere».
Si riferisce all’approvazione dello stile di vita suo e dei suoi frati?«Esatto. Da alcuni anni la curia papale ha deciso che tutte le forme di vita religiosa nascenti debbano adottare o la Regola di Agostino o quella di Benedetto. Ed è proprio quello che viene proposto a Francesco, che rifiuta. Per capirci: ad analoga proposta, qualche dopo, 1215, san Domenico accetta di aderire alla Regola agostiniana. Quando poi Francesco arriva da Innocenzo è uno fra i tanti rappresentanti di gruppi religiosi che in quel momento chiedono di essere riconosciuti. Inoltre il Papa ha appena risolto il caso dei valdesi di Durando d’Osca che dopo la morte di Valdo avevano deciso di tornare nella Chiesa di Roma. E altri gruppi valdesi stanno bussando alla sua porta».
E con Francesco come se la cava?«In realtà si mostra comprensivo. Capisce le motivazioni spirituali dell’uomo ma non la forma di vita comune che adotta con i suoi frati: non hanno conventi, stanno per strada e spesso si adattano come ospiti di chi li accoglie. In fondo Francesco, anche se mite e umile, era una specie di avventuriero senza fissa dimora, molto lontano dall’idealità monastica. Così Innocenzo concede una generica approvazione di quello stile di vita fraterna e itinerante, attestando che non sono eretici, ma cattolici a tutti gli effetti. Quindi invita Francesco a tornare quando i suoi frati saranno più numerosi».
Francesco però non si adatta.«No, ma in realtà comprende di dover scrivere una vera e propria regola solo di ritorno dall’Oriente nell’estate del 1220. A quel punto diventa fondamentale l’incontro col cardinale Ugo d’Ostia».
Si dice che lo abbia scelto lui.«Anche qui l’agiografia indora la vicenda. È più probabile che gli sia stato imposto. Fatto sta che è proprio grazie al cardinale Ugo (gli riscrive la cosiddetta "Regola non bullata" che era stata bocciata nel 1221) che Francesco riesce a ottenere da Onorio III l’approvazione della Regola, anche se in realtà Onorio non scrive "approvo", ma usa una formula con la quale dice di conformarsi alla regola approvata dal suo predecessore, sebbene Innocenzo avesse solo approvato uno "stile di vita". Ma quel che conta per capire Francesco è che impegna tutta la vita per giungere a questo obiettivo convinto di dover fare ciò che Gesù stesso gli aveva detto in quella che chiama la Rivelazione dell’Altissimo».
Un uomo caparbio e capace di giocare il tutto per tutto.«Sì. E l’episodio risolutivo accade con Ugo d’Ostia, che era stato sollecitato dai confratelli di Francesco a far ragionare il Fondatore per portarlo a comportamenti più ragionevoli. Francesco si presenta al capitolo generale col Cardinale e, spiazzando tutti, afferma: "Fratelli miei, il Signore mi ha rivelato che io devo essere un nuovo pazzo nel mondo". In un colpo solo fa passare l’idea che la richiesta di una nuova regola viene dal Signore mettendo in scacco d’Ostia e la fronda interna. Non solo, in quello stesso istante riesce a sanare il grande "dramma" della sua vita: obbedire alla Rivelazione dell’Altissimo e obbedire alla Chiesa. Soffre nel tenere insieme queste due obbedienze e alla fine ci riesce affermando la verità davanti a tutti».
Un’umiltà caparbia che convince anche il Papa.«Sì. Perché tutti capiscono che lui non vuole affermare una propria idea. Lui è solo uno strumento nella mani dell’Altissimo. Ugo d’Ostia la pensa diversamente, eppure dà configurazione giuridica all’idea di "fraternitas" che viene dalla Rivelazione. Con altrettanta ostinata umiltà Francesco ottiene anche un altro obiettivo, legato probabilmente anch’esso alla Rivelazione...».
Quale e perché probabilmente?«Fino all’approvazione della Regola non c’è una vera gerarchia nell’Ordine. Francesco ribadisce di voler essere solo un semplice fratello, invece Ugo d’Ostia vorrebbe metterlo a capo. Una volta diventato Gregorio IX lo fa scrivere a chiare lettere nella sua vita ufficiale redatta nel 1240 (muore nel ’41): "Il cardinale Ugo si è preso cura dei frati minori, ha dato forma a quello che era informe e ha messo a capo Francesco". In realtà Francesco fu irremovibile nel rifiuto ed è lecito pensare che anche questo facesse parte della Rivelazione dell’Altissimo, anche se lui non lo ha mai detto: "Dopo che il Signore mi ha dato dei frati nessuno mi mostrava quello che dovessi fare, ma l’Altissimo stesso me lo rivelò...". E il cardinale Ugo, morto Francesco, trova la medesima caparbietà in Santa Chiara. Va da lei a San Damiano, cerca di convincerla a scegliere una regola diversa, ma lei replica di non voler essere esonerata dalla sequela di Cristo secondo la Rivelazione che ha avuto Francesco».