Sorella povera di Santa Chiara, abbadessa del monastero di Otranto, laureata in pedagogia con indirizzo psicologico, suor Diana Papa ha conseguito il master per counsellor professionista a indirizzo analitico-transazionale. Fino al 2012 è stata coordinatrice delle Presidenti delle Federazioni delle clarisse in Italia. Un passato da vicepresidente dell’Azione cattolica a Brindisi, è autrice di diversi volumi: «L’Emmanuele sulle strade del mondo» (2001) e «Il Risorto sulle strade del mondo» (2003), editi dalle Paoline. Dalle Dehoniane di Bologna ha pubblicato nel 2007 «Le Sorelle povere di santa Chiara» e nel 2011 «Dimora di Dio. La fede nel quotidiano». Nove anni fa ha curato per il Messaggero di Padova «Audite, Sorelle. Un itinerario per rifondare la vita consacrata», scritto da padre Giacomo Bini. Collabora alla rivista spagnola “Vida Religiosa” e ha scritto testi per l’agenzia Sir.Come vivere oggi la relazione tra uomo e donna nella Chiesa, a partire dall’esperienza di Francesco e Chiara? «Vivendo il paradigma dell’incarnazione. Entrambi imparano ad ascoltarsi reciprocamente, ad accogliere la bellezza della specificità senza competizione», spiega suor Diana Papa, abbadessa del onastero di Otranto. «Chiara condivide con Francesco la tenerezza, la sensibilità, la attenzione, la fecondità tipicamente femminili e lui le fa scoprire la visione panoramica della realtà, del mondo e della storia. Dalla consapevolezza della loro diversità nasce la reciprocità vissuta all’insegna dell’unico amore, Dio, che ha permesso a entrambi di scoprire la fecondità della propria e altrui solitudine. Ancora oggi urgono delle presenze femminili e maschili capaci di stupirsi per la bellezza della diversità».
Anzitutto, perché ha scelto di entrare fra le Sorelle Povere di santa Chiara? «L’esperienza di Francesco e di Chiara, la loro ricerca costante del volto di Dio nelle periferie della storia personale e in quella degli uomini e delle donne del loro tempo mi hanno sempre affascinata. Visitando la fraternità di Sorelle Povere di Santa Chiara di Otranto, ho avvertito che si poteva vivere totalmente in Dio con i piedi aderenti alla terra abitata dall’umanità. In quella occasione ho colto la bellezza della contemplazione di Cristo povero e crocifisso, la scelta di conformarsi a Lui sine proprio, vivendo il Vangelo, nella conversione costante di se stesse, nel rispetto e nell’accoglienza incondizionata di ogni fratello e sorella. Capii che, abbracciando la regola di Chiara di Assisi nella stabilità, avrei potuto vivere semplicemente il Vangelo, da consegnata a Dio in fraternità, senza possedere nulla, in obbedienza alla Parola, alla Chiesa, alla storia».
Quali aspetti del carisma clariano possono essere riscoperti dopo otto secoli come dono per la Chiesa e per l’umanità? «Chiara, trasformata in Cristo dalla contemplazione, ancora oggi ci chiede di vedere Dio operante nella storia, attraverso la bellezza dell’incarnazione. Vivendo alla presenza di Dio, siamo chiamate ogni giorno a essere donne dell’incontro, capaci di prossimità, dono incondizionato, perdono, misericordia, tenerezza. La stabilità vissuta dalla fraternità in monastero può essere un segno efficace in mezzo alle fluttuazioni delle correnti mondane: ci siamo sempre per tutti con la preghiera e con l’accoglienza. I nostri monasteri spesso sono meta di chi cerca luoghi di silenzio, di chi non si pone più le domande esistenziali, ha smarrito la propria dignità, vive il non senso della storia ed è in ricerca di amicizia, di significato, di Dio. Vibrando accanto agli uomini e alle donne del nostro tempo, la fraternità si dona totalmente nella gratuità, rendendo visibile la vicinanza fedele di Dio all’umanità».
Chiara è stata la prima donna nella Chiesa a scrivere una regola, riuscendo a 'strappare' al Papa 'il privilegio della povertà': cosa dice questo alle donne di oggi? «Abbracciare come Chiara “il privilegio della povertà” è riproporre oggi il valore dell’esistenza custodita da Dio e vissuta per amore dal suo nascere al tempo del compimento. Il vivere
sine proprio ci colloca ogni giorno nella stabilità ai margini della storia, per essere, da povere, compagne di viaggio dei poveri di pane, di senso, di dignità e di amore. Quando si sperimenta la precarietà della vita e nello stesso tempo tutta la cura di Dio, si rende visibile il valore assoluto del povero come persona, la sua dignità umana sacra e inviolabile, anche se sfigurata. Identificare la propria vita con quella dei poveri non è un’ideologia, è un modo evangelico di vivere come Gesù. In atteggiamento di restituzione e abbandonate alla Provvidenza, rendiamo visibile una vita fondata sull’essenzialità. Non accumuliamo beni, condividiamo tutto con chi non ha: la giustizia di Dio attende anche da noi delle risposte! Possiamo condividere con i piccoli la dignità e il valore della vita ricevuti da Dio».
Papa Francesco sta cercando di valorizzare la presenza femminile anche in posti di responsabilità. Qualche proposta per valorizzare ancor più il ruolo della donna in ambito ecclesiale? «Sono d’accordo sulla decisione di aprire le porte alla presenza femminile in luoghi di responsabilità, anche nella Curia romana. La donna non è chiamata ad occupare spazi, ma ad esserci sempre, in ogni ambiente, in nome della vocazione alla vita, portando il suo contributo specifico che non può essere sostituito da quello dell’uomo. Provo un certo disagio quando sento parlare del rispetto delle quote rosa! La presenza delle donne non è una concessione, ma un aprirsi alla reale e completa visione del mondo. L’apertura in tal senso favorisce un cambio di mentalità, per superare una concezione maschilista della vita. Bisogna pensare a itinerari formativi perché l’uomo e la donna si accolgono nella specificità e nell’unicità, nella reciprocità e nella parità della relazione, pur nel rispetto della diversità dei ruoli. La presenza femminile fa risaltare il bello della vita, perché coniuga il cuore con la ragione attraverso uno sguardo panoramico della realtà e l’attenzione al frammento; quella maschile permette di scrutare l’orizzonte, di guardare in avanti, tracciando percorsi a lungo termine con lo sguardo rivolto al futuro. Una storia solo al maschile o solo al femminile impoverisce l’universo. Solo insieme si possono aprire strade inedite per l’umanità».
Sta per iniziare un anno che il Pontefice ha voluto dedicare alla vita religiosa: quale il ruolo (spesso nascosto ma fecondo) della donna consacrata? «In questi anni abbiamo dato priorità alla cura della vita intellettuale, ma spesso abbiamo confuso l’acquisizione di competenze con la cura della vita spirituale, con il conseguente impoverimento di significatività del nostro esserci nella Chiesa per il mondo. Quest’anno potrebbe essere per tutti un tempo di grazia… Se fosse possibile, dovremmo rivivere l’anno di noviziato, per rinsaldare nella freschezza evangelica le coordinate della nostra vita, a volte dimenticate per le cose da fare, e immergerci con rinnovata passione in Dio, imitando Gesù nella quotidianità dell’esistenza. La credibilità dell’essere consacrate passa attraverso la testimonianza di una vita evangelica senza sconti. Papa Francesco ci chiede di essere donne di fede profondamente umane, capaci di leggere già nell’oggi i segni della risurrezione; donne che danno la vita per costruire con il Signore e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà un mondo più umano, abitato dallo Spirito».