Si apre stamattina in Vaticano, alle 9, la sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze. Dopo i saluti del presidente Werner Arber (nella foto) e la commemorazione dei membri scomparsi dall’ultimo appuntamento a oggi – tra cui Rita Levi-Montalcini – si presenteranno all’assemblea i nuovi membri: i premi Nobel Shinya Yamanaka e Ada E. Yonath, l’immunologa svedese Erna Möller, il paleontologo francese Yves Coppens e il fisico argentino Juan Martín Maldacena. Argentino è tra l’altro anche il cancelliere dell’Accademia, il vescovo Marcelo Sánchez Sorondo. Domenica alle ore 15.30 è prevista una breve cerimonia di inaugurazione di un busto bronzeo in onore di papa Benedetto XVI presso la Casina Pio IV. I lavori si chiuderanno martedì 28 con la lettura di una relazione del domenicano francese Jean-Michel Maldamé, assente per motivi di salute, dedicato alla “Teoria dell’evoluzione e il concetto di natura in teologia”. La natura ama nascondersi, diceva Eraclito. Più di duemila anni dopo il fuggitivo resta inafferrabile, per quanto le indagini abbiano permesso di osservarne infinitamente meglio gli spostamenti e di rintracciarlo. Per fare il punto sugli ultimi sviluppi di questa plurisecolare “caccia all’uomo” da oggi a martedì si ritrovano in Vaticano alcuni fra i più titolati ed esperti investigatori, ossia i membri della Pontificia Accademia delle Scienze, riuniti nella loro biennale sessione plenaria che quest’anno verte sul tema “Evolving concepts of nature” (“L’evoluzione dei concetti di natura”), l’evoluzione dell’identikit di ciò che chiamiamo natura. Considerando le sue origini remote – la sua progenitrice, l’Accademia dei Lincei, fu fondata a Roma nel 1603 e fu la prima accademia esclusivamente scientifica del mondo – l’attuale consesso pontificio continua ad avere uno status di assoluto prestigio nel contesto scientifico internazionale. Soprattutto per il livello dei membri, con un tasso di premi Nobel piuttosto raro. Due faranno il proprio ingresso ufficiale oggi: si tratta del medico giapponese Shinya Yamanaka, premiato a Oslo nel 2012 per le sue ricerche sulla riprogrammazione cellulare, e dell’israeliana Ada Yonath, Nobel nel 2009 per i suoi studi sulla struttura e sulla funzione dei ribosomi. Ad accoglierli ufficialmente sarà il presidente dell’Accademia, il biologo svizzero Werner Arber – anche lui Nobel nel 1978 – chiamato da Benedetto XVI a questo compito nel 2011, dopo la morte del fisico Nicola Cabibbo.Professor Arber, da protestante come si è trovato in questi anni a capo di un’Accademia del Papa?«Molto bene. Fu un onore la nomina ed è stato ricco di soddisfazione il lavoro. La presenza di personalità di confessioni diverse, il respiro internazionale e il rigore scientifico dell’Accademia sono le condizioni per una sinergia e un arricchimento reciproco fra i membri. Non è facile ritrovarsi insieme, anche quest’anno non tutti ci saranno, chi per motivi di lavoro, chi di salute, ma per tutti resta un appuntamento prezioso».Da dove nasce la scelta del tema di questa sessione?«Da un confronto sulle più importanti scoperte degli ultimi anni e su quale fosse una prospettiva per per affrontarle in grado di coinvolgere più discipline. La scelta è caduta sul fondamento, che è appunto il volto stesso di quello che chiamiamo natura. E in quell’“evolving” del titolo c’è già un punto molto importante, che riguarda il suo dinamismo».
Dinamismo cioè evoluzione?«Sì, ma innanzitutto dinamismo come qualcosa di radicalmente diverso e più complesso dell’attributo che il senso comune associa all’idea di natura, ovvero la staticità. Ne parlerò in modo specifico nel mio intervento di domani».Lei gioca in casa, si è occupato per decenni proprio dei meccanismi dell’evoluzione biologica.«Sì, di un’evoluzione che come le dicevo non è solo difficilmente percepita dal senso comune, ma viene contestata anche da ambienti che hanno un taglio, se così posso dire, fondamentalista o comunque che sostengono posizioni antievoluzionistiche che non reggono al vaglio della scienza. Ciò a cui la scienza si trova di fronte è invece un fenomeno di costante cambiamento, che riguarda sia la vita biologica sia il contesto in cui essa si sviluppa. Il problema principale riguarda il tempo, e di riflesso l’uso di metodologie di indagine adeguate. L’evoluzione è lentissima, infinitamente più lenta della nostra percezione e spesso della nostra capacità di rilevazione o misurazione. Ma è un fatto, come è un fatto che due milioni di anni fa la terra e il continente in cui ci troviamo ora erano assai diversi da adesso. Una evoluzione, un dinamismo che ha una peculiarità: la capacità di mantenere un equilibrio complessivo, quasi preoccupandosi della stabilità – quella sì – delle singole forme viventi. Come una sorta di auto-organizzazione, in cui possiamo pensare ci siano meccanismi molecolari specifici che differiscono a seconda dei diversi tipi di organismi – ovvero quello che è stato stabilito per un organismo modello può non essere valido per tutti i tipi di esseri viventi – ma a cui nondimeno sottostanno leggi generali, che hanno un valore universale».Dinamismo ed evoluzione al cui fondo resta però qualcosa di permanente e “costringente”. Non trova che da questo punto di vista l’idea stessa di “legge” abbia in sé qualcosa di misterioso? «Sicuramente, e il confrontarsi con le leggi universali della natura, il riuscire a penetrarle e illuminarle in qualche modo, è anche la principale causa di stupore e gioia per uno scienziato. Toccare con mano la coesione sistemica, per così dire, della natura è sempre qualcosa di stupefacente. Per il modo in cui fisica, chimica, biologia si trovano congiunti. Senza parlare della sensazione di vertigine quando entrano in scena l’astronomia e l’astrofisica».