Per scoprire che cosa pensiamo di essere, noi in Europa, possiamo guardare nello «specchio della storia europea». Nella storia della nostra co-esistenza vediamo luci e ombre. E si potrebbe dire che noi europei abbiamo imparato tre grandi lezioni nel corso della nostra straordinaria esperienza sociale autocosciente: lezioni di grande importanza per il terribile problema del futuro dell’Unione Europea. In Europa abbiamo conosciuto società piccolissime e altre grandissime, e tutte le scale intermedie. Qual è il livello migliore di integrazione sociale? Ecco un bel dilemma. Abbiamo conosciuto città-stato e imperi. E, in mezzo, i cosiddetti Stati nazionali. L’impero romano, la Chiesa romana, il Sacro Romano Impero, l’Unione Europea: quattro diverse forme di «autoimperialismo » del popolo d’Europa. A partire dal XIV secolo Francia e Inghilterra hanno aperto la strada come società leviatano destinate a diventare Stati nazionali. In questo processo i popoli di Italia e Germania sono rimasti a guardare. Fino all’ultima parte del XIX secolo l’Italia e la Germania sembravano incarnare un altro aspetto, paradossale, della visione di Adam Smith: «il principio di competizione ». La competizione non-integrata degli attori sociali può anche far crescere la ricchezza della nazione, nel senso più ampio del termine ricchezza. Questa è una parte importante dell’ideale di capitalismo. Si pensi a quanto la cultura d’Europa sia stata arricchita dalla competizione tra città-Stato in Italia! Si pensi a quanto la cultura tedesca sia stata arricchita dalla co-esistenza in Germania di una miriade di corti e città-Stato: ciascuna con la sua università, i suoi musei e le sue società colte, molte con orchestre e compagnie d’opera. In Gran Bretagna senza il Seicento inglese non ci sarebbe stato il Settecento scozzese. Senza il Settecento scozzese non ci sarebbe stato l’Ottocento britannico. Oppure si considerino due forme di globalizzazione: la forma esterna degli imperi coloniali europei, scomposti «leviatani intercontinentali», e la forma interna di globalizzazione nota come Stati Uniti d’America. Quella degli Stati Uniti è la storia della trasformazione di una società che era originariamente una sorta di «Europa-in-esilio» in un Weltstaat, uno Stato-mondo, in cui popoli di ogni angolo della terra risultano fusi in un’unica società altamente coesiva con la quale «si identificano emotiva- mente». Dopo il 1945 l’Europa si è ripiegata su se stessa. La recentissima esperienza storica aveva traumatizzato la sua mente collettiva. I suoi imperi intercontinentali erano svaniti. Nella sua origine psicologica, la Comunità Europea era l’autodifesa dell’Europa da se stessa, dai suoi istinti peggiori. L’integrazione europea come repressione freudiana. Ma la Comunità Europea assunse la forma sorprendente di società leviatana creata dagli Stati nazionali leviatani: un leviatano dei leviatani. Forse si pensava che si trattasse di un’estrapolazione logica e inevitabile dell’intero corso della storia europea. Ma presso ci accorgemmo che c’era un problema. L’Unione Europea è un sistema governativo che va oltre gli Stati nazionali, un quasi-Stato-nazionale senza una nazione con cui il popolo d’Europa possa identificarsi personalmente o attaccarsi emotivamente. Dunque, alla fine, tre suggerimenti d’immaginazione. Ma spero anche pratici.
1. Integrazione costituzionale. Dovremmo imparare dalla storia degli Stati Uniti. Gli Usa cominciarono come aggiunta costituzionale «verticale» alla co-esistenza «orizzontale » delle ex colonie (gli 'Stati'). L’Ue, invece, viene vista come sistema costituzionale «orizzontale » inter-statale a livello istituzionale, che irrompe verticalmente nei sistemi istituzionali degli Stati membri. È un sistema esterno che agisce internamente. È una presenza aliena nei sistemi sociali nazionali. Dovremmo reimmaginare il sistema Ue come integrazione dei sistemi costituzionali degli Stati membri.
2. Globalizzazione interna. Dovremmo imparare dalla storia costituzionale del Regno Unito. Il Regno Unito è un intreccio, un patchwork, di gruppi sociali subordinati, un amalgama etnico, che cambia in continuazione. Dovremmo vedere l’Europa come una forma di globalizzazione intermedia: non una nazione, né uno Stato, né uno Stato nazionale, ma un fenomeno sociale nuovo e unico.
3. Globalizzazione esterna. Gli europei sono – o dovrebbero essere – «global per natura». Conosciamo il mondo meglio di chiunque altro. Nella costruzione di un altro Nuovo Mondo dovremmo essere i primi. Abbiamo lottato tre millenni per sopravvivere e prosperare. Ora ci troviamo di fronte a una sfida senza precedenti. Noi europei dovremo essere molto intelligenti, energici e rudi per sopravvivere e prosperare nel mondo del XXI secolo.
(traduzione di Anna Maria Brogi)