venerdì 30 marzo 2012
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​Che il calcio fosse in crisi lo sapevamo da un pezzo, anzi, ci avevamo fatto il callo: Scommessopoli, gli spettatori in calo sugli spalti (nei campionati professionisti nel 2011 il 4,4% di spettatori in meno rispetto ad un anno prima: -2,4% in Serie A; -3,2% in B; -11% in prima divisione e -19,9% in seconda divisione) e il campionato-spezzatino, tanto per citare i primi che vengono in mente, sono fattori che hanno accompagnato la deriva del football. Ma davanti ai dati e ai riscontri certi è impossibile non rendersi conto del crack. Il “Report Calcio 2012” organizzato a Roma da Federcalcio, Arel e PricewaterhouseCoopers, ha sancito che se non si corre ai ripari sarà poi difficile incollare i cocci. Il male maggiore è l’indebitamento, quello complessivo della Serie A lo scorso campionato è stato di 2,6 miliardi di euro ed è in aumento del 14% rispetto all’anno precedente (2,3). I debiti finanziari pesano per il 35% (27% nel 2009-2010), 16% quelli commerciali (1% in più rispetto alla stagione scorsa), 21% i debiti verso enti di settore specifico (12% nel 2009-2010), il rimanente 28% si riferisce agli altri debiti (46% nel 2009-2010). Una serie di numeri da leggere in maniera attenta, cui bisogna aggiungere il calo dei ricavi rispetto all’anno precedente, e l’allarmante realtà di soli 19 club professionistici su 107 che hanno chiuso il loro bilancio in utile. Crescono anche i costi, quello della produzione del calcio professionistico italiano è pari a 2,9 miliardi, in aumento dell’1,5%. Sintomatica la dichiarazione del ministro dello sport, Piero Gnudi, pronto a spiegare che «in Italia lo sport è gran parte calcio, è una grande realtà, ma sono un ragioniere e la lettura dei bilanci è preoccupante. In altri settori con questi numeri parleremmo di società prossime al fallimento». Calcio senza soldi, e pure senza stadi, altro dilemma del nostro pallone. Che s’era affrettato a polemizzare quando Euro 2012 venne assegnato a Polonia e Ucraina. A sentir parlare il ministro Gnudi, a margine della presentazione del report, sulla questione stadi c’è per lo meno da abbozzare un mezzo sorriso visto che il numero uno del dicastero ha dichiarato che «si è giunti già a un sostanziale accordo sul testo della legge, adesso mancano alcuni passaggi parlamentari, penso che in qualche mese ce la dovremmo cavare».Di impianti sportivi ha parlato anche il presidente del Coni Gianni Petrucci, pronto a spiegare che «Juventus stadium a parte, finora ho visto solo plastici straordinari che se ci si potesse giocare sarebbero meglio che il Camp Nou o il Bernabeu». Ironico, ma non troppo, anche se poi ha dato una botta alla botte e una al cerchio, chiedendo: «Da qui a quando gli stadi nuovi?» e poi s’è rivolto al ministro per avere lumi sull’arcinota legge. In sintonia con Petrucci anche Giancarlo Abete, presidente Federcalcio: «Speriamo ci sia grande attenzione da parte delle istituzioni per salvaguardare il patrimonio del calcio italiano». Qualche idea, forse vincente per il futuro sul tema dell’impiantistica sportiva, l’ha data sempre il ministro. «In un Paese in cui solo il 38% dei giovani tra i 15 e i 22 anni fa sport contro il 70% della Spagna – ha spiegato – è opportuno rilanciare una politica di impiantistica sportiva. E in particolare rispetto al calcio, che sta sempre più diventando uno spettacolo televisivo, occorre far si che la gente torni negli stadi anche a beneficio delle tv, a volte costrette a inquadrare spalti vuoti».Infine, il rapporto fra la Nazionale e i club, visto che a margine del report s’è trattato anche questo tema. «La nostra speranza – ha affermato Abete – è che i club ci ripensino, concedendo i giocatori per gli stage a Prandelli. La Nazionale è patrimonio del Paese».
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