L’onestà è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai politici. Il concetto di onestà non si limita al significato economico che definisce onesto chi non ruba, non froda e non corrompe, ma è molto più articolato. Lo dimostra, nel saggio che esce oggi da Cortina Onestà (pagine 166, euro 12) la filosofa Francesca Rigotti. Obiettivo del libro – del quale anticipiamo alcune pagine che prendono spunto dal romanzo di Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi – è restituire un po’ di spessore al sostantivo "onestà", all’aggettivo "onesto" e all’avverbio "onestamente". È rilevante che una persona sia onesta? Non sarebbe meglio piuttosto se fosse compassionevole o generosa. Che cos’è l’onestà? Una virtù? L’onestà delle donne è diversa da quella degli uomini? A tali domande tenta di rispondere questo libro.
Nel libro di Cormac Mc Carthy del 2005, No Country for Old Men, tradotto in italiano nel 2006 col titolo Non è un paese per vecchi ed elaborato in versione cinematografica dai fratelli Coen nel 2007, il protagonista, Llewelyn Moss, è un operaio, un saldatore con l’hobby della caccia. All’inizio del romanzo Moss si imbatte, in una zona desertica dalle parti del Rio Grande al confine tra Stati Uniti e Messico, dove si era recato a caccia di antilopi, in un camioncino abbandonato, in mezzo a cadaveri di uomini a terra e fuoristrada sfondati e con le gomme forate.
Il carico della vettura è costituito da pacchi di eroina e da una valigetta piena di denaro, più di due milioni di dollari. Moss è cittadino americano, lavora e ha una giovane moglie; è un reduce del Vietnam e tutto sommato una brava persona ma quel denaro lo tenta troppo. Così si impadronisce della borsa di banconote dando il via a una reazione a catena che lo porterà a fuggire da un misterioso inseguitore, una persona priva invece di qualunque senso etico. «Tre settimane fa – racconta di sé il protagonista riferendosi al periodo immediatamente precedente al ritrovamento fortunoso – ero un cittadino onesto e perbene. Avevo un lavoro dalle nove alle cinque. O meglio, dalle otto alle quattro. Poi le cose capitano come capitano. Non te lo chiedono prima. Non ti chiedono il permesso»).
Il protagonista della storia, ruvida e tagliente come tutti i romanzi di Mc-Carthy, è presentato dall’autore quale erede dei valori di dignità e onore dei cowboy. Benché incarni dunque questo tipo di moralità, Moss approfitta dell’occasione assai allettante, cede alla tentazione del denaro e infrange il Comandamento dell’onestà. O almeno lo infrange nel senso che noi oggi attribuiamo prevalentemente all’onestà, che coincide con l’aspetto commerciale: non imbrogliare, non impadronirti del denaro altrui. Onesto, pensiamo infatti noi di un uomo politico, di un professionista, di un commerciante, di un banchiere o di una guardia di finanza, come di molti altri rappresentanti di svariati mestieri, professioni e ruoli sociali, è “chi non ruba”; onesto è chi non corrompe e non si lascia corrompere nell’ambito della politica, delle transazioni commerciali e della guerra, come pure della medicina e della pubblicità. Onestà è astenersi dalla sottrazione indebita di denaro, dalla frode e dalla corruzione: l’onestà è per noi oggi una virtù morale – crediamo di poter continuare a definirla così – legata al mondo del denaro.
In realtà, limitare i sensi di onestà e di onesto a questo ambito è far torto a un concetto polisemico e sfaccettato quanto ricco di significati. E tuttavia è vero che gran parte di tali significati si sono persi per strada, spogliando il concetto stesso della sua ricchezza e riducendolo a un nocciolo di senso esclusivamente economico; anche all’onestà è toccata infatti la sorte che accompagna molti aspetti della vita contemporanea, dominati idealmente e anche linguisticamente dall’idea del mondo-come-mercato, a partire dall’esperienza dei viaggiatori in ferrovia o dei pazienti di strutture mediche trasformati indifferenziatamente in “clienti”, o da quella degli studenti, universitari e non, alle prese con debiti e crediti che suggeriscono l’equivalenza tra sapere e denaro, per arrivare ai direttori dei dipartimenti accademici alle prese con output e impact per valutare il lavoro scientifico dei docenti.
Non stupisce quindi che in questo mondo guasto, per riprendere il titolo di un fortunato libro di Tony Judt, anche il concetto di onestà abbia visto il suo significato spostarsi sempre più verso la sfera economica. Come è successo per esempio al concetto di felicità, che è nato nella sfera etica, col pensiero greco che ne conosceva i due aspetti del piacere e della virtù; è passato in quella politica, soprattutto col pensiero cresciuto intorno alla Rivoluzione francese e trascinato dall’entusiasmo per i diritti dell’uomo; si è infine, ai nostri giorni, incistato nella sfera economica, seguendo la corrente dell’utilitarismo.
Non lasciamoci condizionare dall’uso comune odierno: l’onestà non è un concetto soltanto economico, non lo è stato di certo in passato, non lo è nemmeno oggi.