Aldo Masullo, tra i filosofi italiani più conosciuti sul piano internazionale, abita al Vomero di Napoli, in una casa-studio colma di libri e di rasserenante silenzio. A novantadue anni egli è ancora attivissimo, costantemente impegnato in conferenze, dibattiti, convegni, collaborazioni giornalistiche. Sta per uscire il suo ultimo libro:
Stati di nichilismo (Edizioni Paparo, pagine 128, euro 12,00).
Perché si è occupato del nichilismo?«Il nichilismo non è più scandalo teorico della ragione e reazione speculativa, ma effettivo esito patologico della nostra civiltà: è nichilismo reale, è nientificazione di sé e del mondo. Il nichilismo in sostanza è diventato una stato di esistenza generalizzato. Mentre prima il suo principio era “nulla è vero, quindi tutto è lecito” adesso è “tutto è lecito, quindi nulla è vero”. È il nostro modo di vivere, di esistere e rivela una situazione profondamente drammatica. Ora la condizione del nostro odierno esistere esige non tanto una discussione sull’essenza del nichilismo, quanto un’esplorazione di effettivi stati di nichilismo, di “focolai nichilistici” accesi nella nostra estenuata modernità, di “sintomi” della cultura europea affetta da nichilismo».
Può fare qualche esempio?«Uno dei sintomi è la profonda trasformazione dei nostri rapporti con il tempo. Oggi la velocizzazione dei cambiamenti (travolgente esito tecnologico), l’accelerazione del quotidiano, l’immediatezza del repentino, insomma il dissolversi della durata nel delirio di eventi puntiformi, esaltano l’istantaneo senza ragione e il vuoto del presente. Gli uomini, come si sa, s’incontrano non quando s’incrociano per la strada fugacemente, ma quando hanno buone occasioni per fermarsi a dialogare, mettere su un comune tavolo le proprie esperienze, scoprirne i nascosti rapporti e così riempire d’inaspettato senso la propria vita. Nel momento in cui l’estrema accelerazione frantuma la durata temporale in mille sconnessi frammenti noi perdiamo noi stessi».
In particolare lei scrive che il nichilismo reale sta mettendo sul trono il “favoloso”. In che senso?«Ormai la nostra vita si svolge tutta come una serie di momenti i cui legami sfuggono alla comprensione autentica della ragione. C’è uno iato tra la vita e ciò che rende possibile la vita. La razionalità che sembrava essere la gloria dell’uomo, la sua capacità di comprendere l’ordine temporale e le condizioni della propria esistenza, sembra scomparsa dall’orizzonte del quotidiano. Io vivo e basta. E questo sembra un carattere preoccupante della nostra epoca».
Lei scrive ancora nel suo libro che il nichilismo reale ha comportato la rovina del “medio”. Cosa intende dire?«Il “medio” è la funzione razionale per eccellenza, l’operazione logica grazie a cui si collegano due elementi isolati e perciò muti e, facendoli giocare insieme in una relazione dinamica, li si rende inseparabilmente comprensibili. Intorno al tema del medio ruotò tutta la metafisica greca. Per la metafisica è il medio a fondare la realtà, ed è perciò il fondamento, l’assoluto che lega insieme i relativi. Attraverso la crisi della filosofia antica prima e della stessa modernità si giunge poi alla consapevolezza che la ragione, la quale è la relazione che media, non è riducibile a un astratto operatore logico, ma è la stessa concretezza del processo storico. Si tratta del faticoso lavoro che la mente umana compie per mantenere legate tra loro le cose, e quindi connesso il mondo, la realtà insomma che altrimenti resterebbe ciecamente vissuta e non conosciuta».
Altra sua espressione forte è che la «potenza del dubbio oggi si è trasformata nella impotenza della negazione».«Affermare un principio e fermarsi dogmaticamente a tale affermazione è sterile. Dubitare è potenza, perché significa riuscire a venire fuori dalla gabbia dell’immediato vivere o peggio, abusando della ragione, credere di sapere, pur non sapendo. Dubitare significa avventurarsi alla ricerca della comprensione di sé. La potenza della ragione è il dubbio. Purtroppo, quando ci troviamo in uno stato di nichilismo reale, il potere razionale risulta indebolito, ridotto a prendere per valori irrigidite abitudini o a restare senza criteri di valutazione. Dalla debolezza del potere razionale nascono gli estremismi e le guerre».
Come riemergere dalla palude generata dal vuoto di valori?«Si può riemergere solo se si riattiva il con-senso. Il che vuol dire sanando le separatezze dei momenti vissuti, dei pensieri balenati, delle esistenze patite. Il problema non è trovare la verità, ma costruirla insieme. Non si deve pretendere di essere l’altro, ma acquisire la piena consapevolezza che solo perseguendo la ricerca di me, il senso della vita e in qualche modo comunicandolo all’altro, posso realizzare una compagnia di sofferenza e di gioia, costruire una moralità che è intreccio di relazioni, e perciò è l’incunabolo del senso della vita. Il rifiuto del con-senso inevitabilmente finisce in un deserto di senso. Contro il totalitario dissenso e l’inimicizia assoluta, contro la guerra come malattia dell’esistere, va oggi riattivata la “volontà di verità” in quanto “volontà di con-senso” cioè, inseparabilmente, di eros e di grazia».