New York, Ground Zero: le vasche quadrate coincidono con il perimetro delle Torri Gemelle - Oleg Illarionov / Unsplash
Era trascorso oltre un mese dagli attacchi alle Torri Gemelle quando dalle macerie fumanti del World Trade Center spuntò un’inaspettata forma di vita. Era un gigantesco albero da frutto, un pero alto otto metri, piantato nel 1970 nei pressi di Church Street. Aveva il tronco bruciato, i rami spezzati e in larga parte carbonizzati ma non era ancora morto. Decisero allora di trasportarlo in un parco del Bronx per curarlo. Lì l’albero crebbe fino a raggiungere un’altezza di circa trenta metri e alla vigilia di Natale del 2010 fu riportato nel suo luogo d’origine per essere trapiantato nel cuore del 9/11 Memorial di New York.
Il grande spazio pubblico che celebra la memoria degli attentati dell’11 settembre 2001 ha oggi oltre quattrocento esemplari di quercia bianca ma l’albero più fotografato è sempre lui: il “Survivor Tree”, l’albero che è riuscito a sopravvivere sotto le macerie delle Torri Gemelle. Circondato da un recinto, con supporti che ne sorreggono il tronco e i rami che recano ancora ben visibili le ferite di quel giorno maledetto, è diventato un simbolo straordinario della capacità di resistenza dell’animo umano.
Il Memoriale è stato realizzato su una superficie di oltre tre ettari nel punto esatto dove sorgeva il cratere delle torri ed è ormai da tempo uno dei luoghi più visitati di New York. Al centro ha due grandi vasche quadrate di granito profonde quattro metri sulle cui pareti l’acqua scorre incessante mentre lungo il perimetro esterno sono stati incisi, su targhe di bronzo, i nomi delle 2.977 vittime dell’11 settembre e i sei caduti nell’attentato del 1993, quando un altro gruppo di terroristi islamici fece esplodere un camion bomba sotto il World Trade Center. I nomi sono stati collocati con cura, mettendo familiari, amici e colleghi uno accanto all’altro, con un sistema di illuminazione che li rende visibili anche di notte e un complesso di condutture che riscalda il metallo impedendo di sentirlo freddo al tatto.
Il silenzio quasi surreale della piazza è rotto soltanto dal lento scrosciare dell’acqua – simbolo di rinascita e di speranza – e da qualche voce che arriva da lontano, trasportata dal vento, mentre nuovi grattacieli vegliano sulla piazza come sentinelle della memoria. Evocare l’assenza attraverso il vuoto fisico lasciato dagli edifici era quanto si proponeva di fare il progetto della piazza intitolato “Reflecting Absence”, realizzato dall’architetto Michael Arad e dal paesaggista Peter Walker.
L’apparato museale vero e proprio si trova invece interamente nel sottosuolo, e a suo tempo la scelta non mancò di creare malumori tra i familiari delle vittime. L’unico edificio del complesso in superficie è una costruzione trasparente a due piani che separa lo spazio urbano esterno dai livelli interrati del museo. Progettato dallo studio di architettura norvegese Snøhetta (lo stesso che ha firmato la nuova biblioteca di Alessandria e, a New York, la pedonalizzazione di Times Square), il museo ha un padiglione d’ingresso in vetro che consente ai visitatori di vedere anche dall’esterno i due “tridenti” del World Trade Center, le gigantesche colonne portanti d’acciaio delle torri che rimasero in piedi anche dopo il crollo e oggi si ergono come monoliti erosi dalla ruggine.
L’orrore che sconvolse il mondo vent’anni fa è stato ricostruito nel dettaglio nei piani sottostanti, dove si trovano i resti delle fondamenta delle Twin Towers, raggiungibili con le scale mobili che consentono di calarsi fino a 25 metri di profondità come in una dantesca discesa agli inferi. Il ventre di Ground Zero è stato trasformato in un luogo della memoria che vuole rappresentare anche simbolicamente un viaggio nell’oscurità e nella sofferenza.
Al piano più basso un’intera parete è ricoperta da un mosaico con i colori del cielo in cui spicca una famosa citazione di Virgilio, “No day shall erase you from the memory of time” (“Nessun giorno potrà cancellarvi dalla memoria del tempo”, in originale Nulla dies umquam memori vos eximet aevo). Tratta dal IX libro dell’Eneide, nel punto in cui il poeta celebra il sacrificio di Eurialo e Niso, due giovani guerrieri troiani caduti in battaglia, è l’eloquente epitaffio scelto per ricordare le vittime.
Il percorso commemorativo si apre con una lunga parete sulla quale sono state collocate le immagini con i volti, associati a una serie di touch-screen che presentano le loro storie con testi, foto e registrazioni audio. La mostra storica si compone invece di tre sezioni cronologiche distinte che raccontano l’11 settembre 2001 attraverso un’enorme collezione di oggetti appartenuti alle persone morte durante il crollo delle Torri Gemelle e ritrovati tra le macerie. Ci sono i badge impolverati di chi lavorava negli uffici del World Trade Center, oggetti personali, orologi con le lancette ferme, zaini, altri frammenti di vita. Ogni reperto racconta una storia commovente, come la rastrelliera con le biciclette rimaste senza proprietari o l’antenna radiotelevisiva che interruppe le trasmissioni in tutti gli Stati Uniti alle 10,28, annunciando il collasso della Torre Nord.
La sezione audiovisiva propone immagini e suoni agghiaccianti, tra cui le strazianti telefonate d’addio dei passeggeri degli aerei e delle persone intrappolate nei grattacieli in fiamme che stavano per crollare. I filmati più crudi, come quello degli impiegati che si lanciarono nel vuoto, sono proiettati in salette separate, con un’avvertenza all’ingresso. Il museo non si limita a celebrare le vittime attraverso la ricostruzione minuziosa delle loro vite e la rassegna stampa e video che racconta in presa diretta quanto accadde quel giorno ma propone anche una lettura politica delle conseguenze del 11 settembre, dalle guerre in Afghanistan e in Iraq, alla caccia a Osama Bin Laden.
Nelle sue immense sale, come in un percorso a ritroso nel nostro passato recente, vediamo materializzarsi molti di quegli oggetti che all’epoca la televisione aveva mostrato ai nostri occhi increduli. I resti dei veicoli della polizia e dei vigili del fuoco usati durante i soccorsi, pezzi delle carcasse degli aerei dirottati dai kamikaze di Al Qaeda, i frammenti della struttura dei due grattacieli crollati, le scale in cemento dalle quali cercò una via di fuga chi si trovava ai piani più bassi delle torri.
Ma è a poca distanza dall’uscita che ci si imbatte in una delle storie meno note e più significative. È quella del muro alto settanta metri che fu costruito sotto al World Trade Center negli anni ’60 seguendo il progetto di un ingegnere italiano, Arturo Lamberto Ressi, per contenere le acque del fiume Hudson. Durante il crollo delle Torri gemelle quella gigantesca opera ingegneristica venne sottoposta a un’enorme pressione ma non cedette e impedì all’acqua del fiume di inondare la metropolitana di New York, salvando migliaia di vite umane. Oggi è un simbolo di speranza che riscalda il cuore dei visitatori del museo.