venerdì 24 agosto 2018
Una regola confermata da Conte, Vecchioni e tanti altri. E pure dalla band dei Jazz Glazz
I Jazz Glazz

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«Cuanta pasiòn, en la vida cuanta pasiòn», canta sorseggiando il vino delle «vigne immobili» del suo Piemonte il Maestro che è nell’anima, quella di Paolo Conte. Azzurro, il pomeriggio era sempre Azzurro per Conte, anche quando da avvocato rampante, toga in spalla, se ne usciva con il sorriso sotto il baffo folto dal tribunale di Asti intonando quel pezzo che avrebbe fatto la sua fortuna e anche quella dell’ex orologiaio milanese, della via Gluck, il “Molleggiato”, Adriano Celentano. «Sto’ bene, sto male se me lo dicevi prima», ammoniva all’anonimo paziente il dottor Enzo Jannacci, curatore di cuori (specializzato in cardiochirurgia negli Usa con il primo trapiantologo, il professor Christian Barnard) ancor prima che di anime, a lui riconoscenti per mezzo secolo di sublime e originale cantautorato.

Tolto il camice il collega medico Mimmo Locasciulli, da giovane Intorno a Trentanni, fuori dalla corsia dell’ospedale ricordava: «Siamo noi che quando riparte il treno / ci riprendiamo la giacca ci mettiamo il cappello. E ci troviamo lì». Locasciulli era passato anche lui dal regno romano del Folkstudio, ma non è salito sul trono da “Principe” della canzone, a questo c’ha pensato Francesco De Gregori. Il primo sodale di palco del poeta de La donna cannone, Antonello Venditti, (nel 1972 incisero assieme l’album Theorius Campus) studiava da giurista (specialistica in Filosofia del diritto alla Sapienza), così come l’attuale “dittatore artistico” di Sanremo Claudio Baglioni se non avesse sfondato con il suo Piccolo grande amore, magari avrebbe disegnato appartamenti popolari a Montesacro, proprio lì, dopo il numero civico 51 dove «tutto è cominciato».

Così come se non fosse stato Degno di te ovvero del mondo dorato del cantar leggero, allora Gianni Morandi poteva rimanere tranquillamente il calzolaio di Monghidoro, Drupi l’idraulico di Pavia e Al Bano Carrisi il cameriere di Cellino San Marco, emigrato a Milano partendo dai tavoli dei “Trani”, in attesa di scrittura per musicarelli con Romina Power. E ancora, Lando Fiorini, il “core de Roma” che ha smesso di battere da poco, senza l’amore del popolo trasteverino per quella voce da Barcarolo avrebbe dovuto sgobbare ogni alba benedetta ai Mercati Generali, e invece, grazie alla musica ha sentito le Cento campane far «din-don».

E vogliamo dimenticare la regina di Sanremo? Nilla Pizzi, al secolo scorso era un’operaia: collaudatrice di apparecchi radio in una fabbrica di Bologna. Questo, prima di salire sul diretto, destinazione la gloria canzonettara, con annesso omaggio: Grazie dei fior. Ne ha visti passare tanti di treni lo chansonnier cuneese Gianmaria Testa, fiero capostazione che con la sua musica soave e altrettante parole d’amore scritte a macchina - incisive quanto quelle di Conte - , fece alzare la paletta dell’ovazione all’esigentissimo pubblico parigino dell’Olympia per poi sfrecciare via per sempre, come un rapido nella notte, a soli 57 anni.

Maestri assoluti della canzone d’autore, come Fabrizio De Andrè e Francesco Guccini, sono giunti al trionfo popolare passando dai banchi di scuola o meglio dalla cattedra d’insegnante. Mestiere o missione che il prof. Roberto Vecchioni (insegnante di lettere, latino e greco nei licei) ha portato avanti fino alla pensione, intervallando un consiglio di classe e un colloquio con i genitori a tour appassionati, da Luci a San Siro con galoppate artistiche fino a Samarcanda.

Insomma le vie della musica sono davvero infinite, e a volte professionalmente parallele, come confermano gli eclettici, polifunzionali, oltre che polistrumentisti Jazz Glazz. In queste notti di mezza estate abbiamo seguito questa band umbra monicelliana. Filosofia artistica e di vita all’Amici miei, la Jazz Glazz opera in quel solco già tracciato dai grandi della musica: al mattino fanno un “altro lavoro” per poi alla sera concedersi il lusso di esibirsi in pubblico, e magari trasformare una passione nella “prima attività” esistenziale. I loro concerti sono di matrice gaberiana, genere sempre più per pochi, il “teatro canzone”. Nel loro spettacolo esilarante da guitti musicanti, con tanto di reading, celebrano il nettare degli dei. Titolo: In vino veritas. Notti di note che finiscono («dopo 30 o 90 minuti, dipende dallo spirito “di-vino” e dall’empatia che si crea con lo spettatore che è “superpartes” in causa») per versarsi dentro calici di stelle.

Di giorno, l’uomo al piano Aldo “Aju” Bertuzzi, calici e balloon li piazza in giro per l’Italia per conto di una premiata ditta di cristalleria. «Un importante azienda di Colle di Val d’Elsa, ma non vorrei fare pubblicità...», dice anche il nome dell’azienda Aju con il suo sorriso contagioso, mentre accarezza leggero la tastiera rivolto con aria più che complice al sassofonista, Rob Pierucci, «il mio Capo». Rob è l’amministratore della cristalleria. «Conflitti di interessi? No qui si lavora e si sbaglia da professionisti», dice riponendo il sax nella custodia dopo l’ennesima serata «successone» al Trasimeno. «Prossima data, sabato sera a Gradara, al Castello del Vino e non solo quello dantesco di Paolo e Francesca», informa Graziano “Graz” Brufani, contrabbassista, uno che non è uscito tanto dal seminato: «Faccio l’insegnante di musica». Carlo “Carl” Bosco alle percussioni è un organizzatore di eventi e spettacoli, mentre Rodolfo “Rodo” Mantovani, è la voce narrante, o meglio «l’attore “vinante”», un professionista delle scene che sul palco improvvisa, recita racconti brevi, aforismi e testi di un reading onirico costruito durante le pause lavoro («quasi mai pause caffè, quello serve solo a smaltire») da questi «musicisti di lungo “sorso”» che alternano inediti, standard e rivisitazioni di brani firmati da cantautori devoti al dio Bacco, «il santo bevitore Ray Charles, Paolo Conte ovviamente e Vinicio Capossela».

Il vino li ispira quanto il cibo. E nella variante In cibo meritas, entra in scena anche l’altro percussionista, Claude Trinoli, che, riposta nell’armadietto la tuta blu del magazziniere alla Fiat, sotto i riflettori si presenta con i suoi compagni di «merende sonore» indossando lo “zinale”, il grembiule da norcino e da sommelier delle produzioni itineranti Jazz Glazz. La band è pronta per la prossima tappa, anzi la sosta “musicalenogastronomica”. «Bevi, ribevi, tribevi, quadribevi...», recita Rodo trascinando il pubblico in delirio che riconosce e plaude al talento cristallino. La verve sana e a «Km 0» di questi epigoni delle arti e dei mestieri, che salutano e se ne vanno con un saziante e speranzoso «Hasta la siesta, siempre!».

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