Il 21 dicembre 1999 la legge n. 508 trasformava i Conservatori italiani in istituti di livello universitario. Quasi 15 anni dopo la riforma, discussa e da alcuni aspramente contestata, è ancora in mezzo al guado. Lo ha osservato anche il 1 aprile scorso il ministro all’Istruzione Giannini in un’udienza al Senato, in cui ha affermato che il settore dell’Alta Formazione Artistica e Musicale (Afam), che comprende i conservatori, le accademie di belle arti, la Fedele D’Amico e quella di danza, è «un comparto che negli ultimi anni è stato trascurato dalla politica, soprattutto ministeriale», ribadendo la volontà di approntare un «urgente un complessivo e ben strutturato processo di riforma». «Il fatto è che molti dei decreti attuativi previsti dalla Legge 508 non sono mai stati emanati» spiega Paolo Troncon, a capo del Conservatorio di Castelfranco Veneto e presidente della Conferenza dei direttori dei conservatori di musica. «Manca ad esempio quello per il reclutamento della docenza: oggi i professori si individuano ancora su criteri quantitativi, come l’anzianità, piuttosto che qualitativi, elementi che non garantiscono sempre agli studenti la migliore offerta artistico-didattica richiesta. Inoltre i corsi di studio previsti dal regolamento didattico, che è del 2005, non sono ancora tutti a ordinamento. Il biennio superiore, varato nel 2004, è ancora sperimentale. E non abbiamo il terzo livello, quello di formazione alla ricerca».Non è bastata la parola per equiparare i conservatori alle università. E il sistema è entrato in crisi. «I Conservatori – prosegue Troncon – sono nati in Italia; la nostra tradizione didattica è importante e universalmente riconosciuta. Ma non ci possiamo fermare alla gloria della storia! Se guardiamo al sistema europeo dell’alta formazione musicale siamo in ritardo. Non ci mancano certo i bravi docenti; la nostra formazione ha numerose punte di eccellenza e una media più che soddisfacente, e riprova ne è che in Europa insegnano tanti italiani. Quel che non ha funzionato bene è il sistema generale, a partire dall’autonomia, prevista dalla Legge 508 e male interpretata. Il ministro Giannini ha messo al centro questo punto, e ha fatto bene. Bisogna cominciare a ragionare in termini diversi dal passato». C’è poi il tema della valutazione e del merito, «essenziale nel campo artistico e ora scarsamente considerato. La premialità è vista con sospetto e alla parola "valutazione", per i docenti, per i corsi e per gli istituti, si alzano i muri. Tutto questo però ci allontana dal sistema della formazione superiore al quale apparteniamo e penalizza le istituzioni più virtuose e i docenti che forniscono un vero valore aggiunto. La meritocrazia è la sola via».In Italia i conservatori sono 78 statali e 4 privati. Gli insegnanti in organico (dati 2013) sono 5.897 a cui si aggiungono 1.067 professori a contratto. Gli studenti invece sono 48 mila. Nove conservatori superano i mille iscritti: Bari (1.779), Roma (1.654), Palermo (1.621), Vibo Valentia (1.515), Milano (1.456), Frosinone (1.235), Salerno (1.163), Napoli (1.068), Avellino (1.171). Salta subito all’occhio la preponderanza di città dell’Italia meridionale. Ed è la Puglia la regione con più studenti (5.144) mentre la Campania quella con più iscritti in proporzione agli istituti (4.340 per 4 scuole). Sono numeri che si possono spiegare con una tendenza al Sud a formare classi più numerose (e in qualche caso sovradimensionate): ad esempio nei conservatori lombardi il rapporto studenti per docente è 4,83, nel Veneto è 6,10, nel Lazio 7,16, in Campania 8,43, in Calabria 10,52. La media nazionale è 6,95. Se il rapporto può sembrare comunque basso rispetto a un’università non bisogna dimenticare che l’insegnamento musicale spesso richiede classi piccole e lezioni individuali.La maggior parte dei conservatori è sita in capoluoghi di provincia, ma non mancano eccezioni: in Lombardia Gallarate, Castelfranco in Veneto, in Calabria Nocera Terinese, in Puglia Monopoli, Ceglie Messapica e Rodi Garganico, in Sicilia Ribera. È un assetto formatosi negli anni 70. «Il problema – commenta Troncon – però non è che ci siano troppi Conservatori. Il fatto è che la riforma ha trasformato tutti i Conservatori esistenti in Istituti Superiori di Studi Musicali, in maniera indifferenziata. Anche se i sistemi non sono del tutto accostabili, i numeri dicono che in Paesi come Germania e Spagna i Conservatori superiori sono meno di trenta, ma ci sono molte scuole professionali dove si può studiare musica. In Francia ci sono trentasei Conservatori regionali e un centinaio di scuole nazionali di musica. Solo due sono però Conservatori superiori, a Parigi e a Lione. E negli altri Paesi europei la situazione è in proporzione circa la stessa».Dei 48 mila studenti iscritti al Conservatorio solo 19 mila appartengono alla fascia superiore, ossia quella relativa agli iscritti ai corsi di studio del nuovo ordinamento e quelli ai periodi superiori dei corsi del vecchio ordinamento. Questi ultimi corsi sono a esaurimento, ma poiché la durata dei corsi è molto lunga si prevede che fino al 2020 circa ci saranno ancora iscritti. «I restanti studenti sono iscritti ai cosiddetti corsi "preaccademici", dove studiano in un percorso professionalizzante ma sono privi delle competenze o dei requisiti per accedere ai corsi triennali. Sono studenti che quando raggiungeranno i limiti di età o la maturità presumibilmente entreranno a pieno titolo nel Conservatorio superiore». E qui scatta un altro dei grandi paradossi generati dalla riforma: una volta i Conservatori seguivano la formazione artistica dall’inizio fino al diploma. Oggi la prima fase non fa più parte della loro missione. «Questi corsi sono attualmente in fase di analisi e discussione. Ma i livelli della formazione artistica non possono essere identificati in rapporto all’età anagrafica. Mentre a quindici anni non si può esercitare il mestiere di medico o di avvocato, si può essere eccellenti violinisti in carriera. Dobbiamo allora coniugare meglio le esigenze della formazione artistica con quelle generali e specifiche della formazione superiore. Come Conferenza dei direttori abbiamo pensato di dividere concettualmente quello che nel preaccademico rappresenta la "formazione iniziale", quella che serve allo studente per orientarsi, dalla "propedeutica", quella già avanzata, ma non ancora sufficiente per l’accesso al livello triennale. È quest’ultima una realtà che esiste anche in Europa, con dipartimenti ad hoc».