sabato 11 luglio 2009
Dai famosi «zero titoli» (altrui) alle zero promesse (ai suoi tifosi): il tecnico portoghese scuote il primo giorno di ritiro nerazzurro: «Non sono deluso dal mercato ma non è questa la squadra che sognavo».
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La solitudine dei numeri u­no. Il vento caldo dell’esta­te si è portato via quella pol­verina magica dall’effigie di Josè Mourinho. Il portoghese ha la classica mosca al naso il giorno della ripresa dei lavori al cantie­re Inter che, stando alle frasi al ddt del suo capomastro, non è af­fatto completo, nè soddisfacen­te. E la sua paura è che patron Moratti, al 31 agosto, ultimo gior­no di mercato, gli lasci qualche ruolo pericolosamente scoperto. Come con Obama, una mosca volteggia sulla testa del Mago di Setùbal per tutti i 60 minuti di incontro con la stampa. Gli « Ze­ru tituli » profetizzati la passata stagione ai suoi avversari, ora la­sciano il posto agli « Zeru soldi » incassati dall’Inter. «Avevamo previsto 4 giocatori in entrata e 8 in uscita molto specifici, ma di questi solo quattro se ne sono andati: tre a parametro zero (Crespo, Cruz e Figo a fine car­riera) e Jimenez in prestito al We­st Ham. Però, alla società, aven­do incassato zero soldi, non pos­so chiedere niente...». Tende la mano al suo presiden­te, ma anche la mosca che gli ronza intorno ha capito che a Mourinho non sono bastati i 40 milioni di euro investiti per l’acquisto di Milito e Thiago Motta per migliorare la squadra, e sottolinea: «Chi pensa che non ha bisogno di migliorare è un pirla». Dei quattro giocatori in entrata mancano ancora al suo appello «un trequartista e un di­fensore centrale». Siamo già al tempo dei rinfacci diretti a Mar­co Branca e Lele Oriali, rei di non aver saputo esaudire i suoi de­sideri, a partire dallo sfoltimen­to della rosa. «Per me 30 gioca­tori sono un problema e ancora più grave è dover lavorare con quelli che io non voglio più qui. Ma loro preferiscono restare piuttosto che provare una nuo­va sfida come ha fatto Jimenez. Io comunque non li utilizzerò nelle prossime amichevoli». Una minaccia a quei quattro «indesiderati» in esubero, (Viei­ra, Burdisso, Mancini e Obinna) le cui cessioni servirebbero a fa­re cassa e a tentare l’ultimo as­salto a quelli che al momento sembrano i sogni proibiti di Mourinho: i portoghesi del Chelsea, Deco e Carvalho. Il nuovo mister dei «Blues» Carlo Ancelotti non intende lasciarli al nemico Specialone che iro­nizza: «In Inghilterra lo chiama­no il Principe Carlo, ma io co­nosco solo quello del Galles...». È arrabbiato Mourinho e infa­stidito da quella mosca che sor­vola la sua coscienza e lo stuz­zica sul tasto dolente della Champions fallita. «Il Barcello­na è campione d’Europa, ma al 90’ della semifinale con il Chel­sea, se ricordate, era fuori. La Champions è la competizione dei dettagli, ma è anche quella della qualità e su quest’ultima non siamo allo stesso livello di 3-4 squadre. A volte i dettagli possono essere amici, ma par­tiamo dietro». Solitudine e delusione di chi dà l’impressione di vivere in un bo­sco parallelo alla Pinetina, spe­cie quando gli chiedono lumi sul giovane Ar­nautovic: «Non lo conosco bene, è una scommessa della società e la devo accettare». Mourinho spiazza l’Inter, ma forse anche se stesso. Lo «Special One» era planato dalla Premier con la certezza di venire a fare il tecnico-manager all’Inter come gli aveva permesso Abramovich al Chelsea, e invece adesso ri­schia di trovarsi altri indeside­rati in casa. A cominciare dallo juventino Pavel Nedved che il «pizzaiolo» Mino Rajola (lo stes­so procuratore Ibrahimovic) sta cercando di rifilare all’Inter a tutti i costi. I 2mila tifosi accorsi alla Pineti­na, il ceko non lo vogliono, fanno pace con Ibrahimovic e mostra­no fieri lo striscione rivolto ai cu­gini milanisti: «C’è chi contesta e chi è ancora in testa». Ma è un pri­mato da confermare e il primo a metterlo in discussione è proprio il suo maghetto Mou. «Non è la rosa dei miei sogni, ma è la realtà. Io però non faccio miracoli, non sono Harry Potter...». Lo sapeva­mo. Harry Potter è solo Luca Campedelli, il presidente del Chievo, uno dei pochi che fa mi­racoli nel nostro calcio e forse an­che più speciale di don Josè.
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