È in atto processo di superamento delle società industriali, che diminuisce la manodopera e quindi il lavoro dipendente, mentre aumenta la robotizzazione. Si presenta, allora, la necessità di reinventarsi altre forme lavorative flessibili e cooperative, in stretta connessione con i linguaggi e le tecnologie delle reti informatiche globali. Nonostante questi radicali mutamenti tecnologici le regolarità degli stili di vita e di azione degli umani, che abbiamo descritto ieri circa i movimenti sociali classici del diciannovesimo e del ventesimo secolo, ritornano impetuosamente anche nell’epoca di internet. L’imponente fenomeno delle migrazioni collettive dal vicino Medio Oriente è lì a testimoniarlo. I processi di mondializzazione dell’economia capitalistica non hanno unificato le grandi masse umane, né le hanno frantumate socialmente nei differenti territori dei tanti scacchieri della geopolitica fuori dall’Europa. Hanno, invece, polarizzato socialmente ricchi e poveri, tra guerre civili territoriali e terrorismo internazionale. Qui ci interessano alcune, solo alcune, dinamiche sociali costituenti questa grande sorta di 'esodo biblico', vera e propria fuga da molte realtà territoriali delle differenti civilizzazioni islamiche. Non è un caso. Nella geopolitica dell’islam, oggi, arriva a conclusione un lunghissimo ciclo teologico-politico di guerre e confronti culturali, tra le differenti anime che costituiscono la grande tradizione ortodossa wahabita e l’altra ala, più proletaria, che si connota come sciitismo. Scontro che dura da secoli e che, nell’esaurirsi del ciclo politico del petrolio, ha necessità di definire chi vince e chi perde in quei contesti. Tutto è stressato ai fini di questa vittoria ritenuta, dai diversi protagonisti, come l’avvicinarsi o meno, dell’apocalittica islamica. Tutto è valido e tutto è corretto a questo fine. Da tutto ciò, una fuga oramai generalizzata di milioni di esseri umani che non accettano la strumentalità del cosiddetto 'martirio islamico'. Verso una 'terra promessa' che, ai loro occhi, è diventata l’Europa. In parte, lo sappiamo bene noi europei, tutto ciò è mitologico, ma in parte è realtà 'promessa' per stabilità, presenza di diritti e norme di legalità, di lavori comunque non sottoposti al dispotismo barbaro e autoritario delle corrotte classi dirigenti di quei Paesi. L’inedito movimento dei migranti sempre più si compone socialmente in modo aggregato, formando un vivente popolo errante che ha una sua (mitologica) stella della redenzione nelle realtà del Centro-nord Europa e del Canada e degli Stati Uniti e dell’Australia. Esprimono iniziali frammenti di laicità nei loro comportamenti collettivi che mai prima, loro stessi, avrebbero immaginato di elaborare attraverso la sofferenza e il dolore del camminare infinitamente a piedi. Scaturisce una doppia dinamica: c’è una rottura delle comunità originarie e perciò cresce un elementare livello di secolarizzazione che, supportato dalla diffusione generalizzata delle tecnologie web, camminando con un telefonino si è come un terminale che urla la propria tragedia. Il movimento dei migranti potrebbe essere decisivo in quello che prevediamo avvenga nel medio periodo qui in Europa: la frantumazione dell’islam europeo in diversi Islam europei. In grado di introiettare frammenti, non solo, del meglio delle culture occidentali, come la critica al concetto di 'sottomissione' e come l’emancipazione della donna o il pluralismo ideologico. È anche, questa vivente 'invasione umana' la possibilità di ridare un’anima, attraverso processi sociali e molecolari di base, a un’estenuata cultura maggioritaria europea, che si autorovella in proposte antieducative, senza prospettive di futuro. Il pericolo è infatti enorme: va affrontato senza cadere nel panico, al tempo stesso, con la consapevolezza di una necessaria offerta di cittadinanza repubblicana che ha regole e vincoli basati sull’etica della responsabilità individuale. Come è ben delineato nell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Magistrale documento sulle potenzialità di crescita e i pericoli di declino che ci stanno di fronte. Crescono, allora, bisogni e luoghi 'impolitici'. Cosa intendiamo dire? Se l’approdo complessivo della riflessione sociologica attuale sui nuovi movimenti del terzo millennio, non ha soltanto 'messo in crisi' gli 'idola' della rappresentazione e dell’organizzazione, ritenuti da sempre necessari, ma, come crediamo, ha veramente eliminato certezze molto più profonde, allora, non di nuove domande politiche si tratta, ma di dinamiche che attraversano lo stesso Politico, di continui messaggi e linguaggi che ripropongono relazioni esistenziali non governabili e non gestibili dalle istituzioni. Si ripropone nella nostra società della comunicazione una situazione paragonabile a casi classici della storia della Chiesa, quali le polemiche del tredicesimo secolo sugli ordini mendicanti e sui conflitti egualitari che lì esplosero. Gli attuali movimenti dell’impolitico (anche ecclesiale) sono, in un certo senso, quasi una verifica di spinte verso una cultura di comunione che è l’asse profondo su cui si dispiega l’attuale Sinodo sulla famiglia.
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