domenica 6 aprile 2014
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Quale religione sta dietro ad Apple? L’universo informatico inventato dal defunto Steve Jobs lo si può definire una “re­ligione”? C’è un (qual­che) Dio oltre la Mela addentata, simbolo (guarda caso, di chiara ascendenza bi­blica) di MacOs, il sistema operativo che fa da competitor a Windows, que­st’ultimo più diffuso, mentre il primo è il più à la page?  Possono sembrare domande oziose, queste. E invece… Invece c’è chi, da questa e sull’altra sponda dell’Atlantico, ha messo sotto la lente di ingrandimento nientemeno che l’«immaginazione religiosa» dell’i­deatore dei computer Macintosh. È il caso di Appletopia. Media Technology and the Religious Imagination of Steve Job (Baylor University Press), docu­mentatissimo saggio di Brett T. Robin­son, docente di marketing alla Notre Dame University. Ma anche del più ri­dotto, ma comunque interessante, Ap­ple come esperienza religiosa (Mime­sis) di Antonio Guerrieri, ricercatore in Diritto canonico alla Sapienza di Roma. I due indagatori dello “spirito” di Ap­ple si trovano d’accordo: sì, usare un MacBook o un iPhone è qualcosa che a a che fare con «un’esperienza reli­giosa ». Lo spiega così Guerrieri: «Lo strumento di lavoro linguistico-con­cettuale meno azzardato e improprio per descrivere sentimenti e aspettati­ve del devoto di Apple sembra essere l’espressione esperienza religiosa, più adatta a rappresentare fenomeni flui­di e relativamente inediti, e in cui gli e­lementi- tipo individuati dall’indagine fenomenologia in religioni e culti (mi­nistri consacrati, luoghi deputati ai ri­ti, preghiere, feste) possono essere as­senti o presenti solo in parte o in mo­do meno pronunciato del solito».  Prendiamo qualcuno tra questi ele­menti- tipo: secondo Guerrieri ci sono tutti nella religione-Apple. I ministri consacrati sono nientemeno che tutti gli utenti: «In che cosa si traduce la devozione degli utenti Apple? Anzitutto in una tensione proselitistica avente alla base la con­vinzione della bontà della proprie idee e de­gli strumenti tecnolo­gici osannati (sforzo propagandistico del tutto gratuito); in una solidarietà tra i mem­bri della comunità Ap­ple in ordine all’utiliz­zo di Macintosh; e so­prattutto – ed è forse ciò che è in grado di e­sprimere davvero un connotato religioso – un’attitudine capace di conferire (ancora una volta, tra i devoti Apple della prima ora e i loro genuini epigoni, con e­sclusione di chi ha fat­to una semplice moda di iPod, iPhone e iPad) un nuovo significato a oggetti e esperienze i­nizialmente elitari e che dopo un momento “rivoluziona­rio” diventano comuni». Già Jacques Ellul, sferzante indagatore cui si deve un’analisi puntuta sui danni della tec­nica – suo l’imprescindibile Il sistema tecnico (Jaca Book), del resto citato da Robinson – lo evidenziava: «La tecni­ca crea un legame tra gli uomini. Tutti quelli che seguono la stessa tecnica so­no legati insieme in una tacita frater­nità e tutti hanno uno stesso atteggia­mento verso la realtà».  Poi: i luoghi “religiosi” della fede nella Mela sono i negozi Apple. Robinson e­videnzia nel suo saggio che tali centri commerciali sono costruiti seguendo i canoni degli edifici sacri: «L’Apple Sto­re è un santuario delle moderne tec­nologie di comunicazione che ora rea­lizzano nuovi compiti. Assomiglia a La Grande Arche di Parigi, entrambi rap­presentano un ordine sociale che pa­re inviolabile, fortemente tenuto in­sieme da chi aderisce ai suoi ideali». Per preghiere e riti, basta citare una fonte insospettabile (lo fa Guerrieri). È il caso di Phil Schiller, vice-presidente senior della divisione Worldwide Pro­duct Marketing di Apple, il quale già nell’ormai lontanissimo 2002 affer­mava in una conferenza ad Harvard, riferendosi alla valanga di e-mail che la corporate riceveva da parte di “adepti”: «C’è gente strana là fuori, e sembra a­vere una personalità con una forte pro­pensione a legarsi a certe cose come se si trattasse di un culto. E devi averci a che fare, con queste persone, perché sono i tuoi clienti».  Ma in cosa consiste precisamente «l’e­sperienza religiosa» di usare un Mac? Secondo Robinson in un tratto che si potrebbe far risalire a una tendenza protestante, ovvero la convinzione che l’umanità viva in «un mondo decadu­to e che gli strumenti della scienza e della tecnologia ci diano l’abilità di re­dimerci e di perfezionare il nostro sta­to di caducità per indirizzarci su un cammino di perfezione». Ancora più radicalmente, l’autore della Notre Da­me University afferma che «gli stru­menti di Apple sono qualcosa in più di processori veloci; sono strumenti per cercare un senso perduto di trascen­denza ». Da notare che il primo a clas­sificare religiosamente Windows e Ma­cIntosh era stato, già nel 1994, Umber­to Eco, sempre attento ai nuovi media. Secondo Eco era invece Windows ad essere «luterano», anzi «calvinista», e invece il prodotto di Jobs «cattolico», per il fatto che quest’ultimo «è contro­riformista e influenzato dalla ratio stu­diorum dei gesuiti». Non si può, infine, non ricordare la ri­vendicata appartenenza buddhista di Steve Jobs, il quale in gioventù aveva a­vuto esperienze spirituali in India. Ri­spetto a ciò Robinson decreta che tale e­sperienza è rintracciabile nel senso di «gnosticismo» presente in un MacInto­sh: «Dal momento che la visione buddhista vede il mondo fisico e i corpi come sorgente di ogni dolore, il mondo digitale rappresenta la liberazione del­la mente e dello spirito dalla prigione del corpo».
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