Poche centinaia di metri, in linea d’aria, separano il costone roccioso detto Gravina - ai lati del quale sono ben visibili gli insediamenti dell’uomo che risalgono al neolitico - dagli ampi spazi dell’altopiano murgico, dove, imponenti, svettano le parabole del moderno Centro di geodesia dell’Agenzia spaziale italiana. Geodesia, telerilevamento, robotica spaziale, missioni interplanetarie a due passi dagli antichi rioni Sassi.Il vecchio e il nuovo di Matera si guardano e, in un certo senso, si integrano. In una continuità di vita che ha 9000 anni. Un’età che fa di Matera, secondo alcuni ricercatori, la seconda città viva più antica del mondo dopo Gerico (Israele). Viva: dove cioè la vita non si è mai interrotta. E dove la storia dell’uomo, scolpita nella roccia, parla di civiltà e culture, di dominazioni e di miseria. Già, la miseria. Nelle grotte dei Sassi si era creata una tale promiscuità tra uomini e animali che Alcide De Gasperi, in visita a Matera nell’immediato dopoguerra, definì la città «vergogna nazionale». Una frase che aprì una nuova stagione nella millenaria storia del capoluogo tanto che già nel 1953 De Gasperi stesso volle inaugurare i primi nuovi borghi abitativi che segnarono lo spopolamento dei Sassi.Oggi la «vergogna nazionale» è più che mai fiera del suo passato straordinario. Lo mette in mostra, inaugura musei (ce ne sono ben 5, di cui due nazionali) e rassegne internazionali (le grandi esposizioni annuali nei Sassi sono tra gli appuntamenti nazionali più attesi del settore), è riconosciuta "Patrimonio culturale dell’umanità" (Unesco, 1993), è un set a cielo aperto amato da grandi registi e attori; insomma, per gli amministratori locali la città è addirittura pronta a diventare capitale europea della cultura 2019. E guai a parlare di progetto troppo ambizioso al dinamico sindaco Salvatore Adduce: «Troppo? No. Non sono d’accordo. Perché anche lo spopolamento dei Sassi lo era. E figuriamoci la candidatura a patrimonio Unesco! Erano in pochi a sperarci. Eppure, fummo la prima città del Sud a fregiarci di questo riconoscimento quasi 20 anni fa. Qui non si tratta di inseguire utopie. Ma di proporre, a livello continentale, il modello culturale che nasce da un patrimonio di ineguagliabile ricchezza storica e paesaggistica. E che non è ancora noto del tutto. Vogliamo continuare ad essere un laboratorio di idee e progetti adattabili a città del mondo di piccole e medie dimensioni».E così, sulla scrivania del sindaco, iniziano ad arrivare i primi messaggi di sostegno alla candidatura, in gran parte firmati da intellettuali, artisti. E poi, ovviamente, da registi e attori. Che da queste parti tornano spesso, anzi sono degli habitué. Negli antichi rioni di Matera sono stati girati circa 30 film. Senza contare i cortometraggi e i documentari. Il precursore fu, nel 1953, Alberto Lattuada che vi ambientò
La Lupa, la cui sceneggiatura fu un adattamento della novella di Verga. Da allora, tra gli altri, ecco Luigi Zampa (
Gli anni ruggenti), Lina Wertmuller (
I basilischi), Francesco Rosi (
C’era una volta,
Tre fratelli,
Cristo si è fermato ad Eboli), i fratelli Taviani (
Allosanfan), fino a Giuseppe Tornatore (
L’uomo delle stelle).Ma il fascino ancestrale dei Sassi emerge in modo singolare nella pellicola <+corsivo>Il Vangelo secondo Matteo<+tondo> che Pier Paolo Pasolini girò nel 1964 e alla cui fotografia si ispirò, 40 anni dopo, Mel Gibson, regista e produttore di
The Passion. Gibson aveva in programma numerosi sopralluoghi in molte location per il suo film. Ma appena arrivato a Matera non ebbe esitazioni e non volle neanche visitare altri possibili scenari, tanto lo avevano attratto i rioni in tufo. Hollywood, tuttavia, scoprì la città lucana nel 1985 quando Bruce Beresford venne a girarvi il suo <+corsivo>King David<+tondo>; del cast faceva parte anche Richard Gere, che anni dopo disse: «È vero, King David è stato un insuccesso ma lo rifarei da capo, perché mi ha fatto scoprire una città straordinaria come Matera che altrimenti non avrei mai visitato».In effetti, Matera non fa molto per agevolare i visitatori che vogliono ammirarla. Almeno dal punto di vista delle comunicazioni. È l’unico capoluogo di provincia italiano a non essere servito dalle Ferrovie dello Stato. E neanche la rete autostradale ci arriva, da queste parti. Dove invece sono abbondanti e copiose le dichiarazioni di politici e amministratori che promettono strade ferrate e asfaltate da decenni. Ma forse sta anche nel suo isolamento il fascino di questa città. Un isolamento cercato addirittura da alcune comunità monastiche che, nell’alto Medioevo, a causa delle persecuzioni iconoclaste, qui si rifugiavano e fondavano cenobi, o, se preferite, chiese rupestri. Che, in questa architettura unica al mondo e in un ecosistema fatto di pietra, luce e acqua che ha saputo garantire per millenni gli approvvigionamenti idrici, si integrano alla perfezione. Sono 155 quelle censite, espressione di una religiosità antica e di una devozione "fotografata" da grandi antropologi.Spiritualità, certo, «ma anche una trasmissione alta di cultura che, oggi, è un’eredità da difendere», spiega l’arcivescovo di Matera-Irsina, Salvatore Ligorio. «Paolo VI – aggiunge il presule – diceva che quando una cultura è vera non può che portare civiltà e l’espressione più alta della civiltà è la civiltà dell’amore. E questo è un patrimonio di cui far tesoro».