sabato 29 settembre 2018
Il regista e attore gira un docufilm all’Aquila: «Il sisma mi ha toccato negli affetti. Le macerie raccontano». E porterà in scena a Roma un monologo sulla Passione di Cristo.
L'attore Vinicio Marchioni

L'attore Vinicio Marchioni

COMMENTA E CONDIVIDI

«Ho avuto amici che hanno perso la vita e altri che hanno perso tutto nel terremoto dell’Aquila. Per questo sto girando un documentario in quei luoghi che uscirà l’anno prossimo, a 10 anni da quel terribile evento ». Vinicio Marchioni scandisce le parole con voce profonda, sotto uno sguardo sempre leggermente corrucciato. Lo stesso del Freddo nella fiction Romanzo criminale di Sky che lo ha fatto diventare una star 10 anni fa (ora ha appena finito le riprese della serie 1994 nel ruolo di Massimo D’Alema), e che ha lanciato una carriera che conta ben 26 film, di cui molto impegnati come 20 sigarette a Nassirya che rivelò il suo talento. Ma c’è molto di più nell’attore romano, 43 anni, arrivato sul grande schermo dopo una lunga gavetta teatrale iniziata studiando con Luca Ronconi. Pochi giorni fa insieme alla moglie, l’attrice Milena Mancini, è stato in scena all’Auditorium Parco della Musica di Roma con L’amar, testo d Alessandra Mortelliti e Laura Pacelli, con la supervisione di Andrea Camilleri, dedicato alla diva anni 30 Hedy Lamarr, primo di una serie di altri progetti fra cui uno sulla Passione di Cristo. Inoltre Marchioni è stato giurato per la sezione corti e documentari nell’ultimo Ischia Film Festival e proprio di un documentario è regista e produttore: lo sta girando nei luoghi del terremoto, intrecciandolo alle parole di Cechov.

Marchioni, lei usa Cechov per parlare del-l’Italia di oggi?

«Il mio amore per Cechov nacque nel 2006 studiandolo con il mio maestro Luca Ronconi al Centro Teatrale Santacristina. Lui mi ha insegnato a essere veramente autore del mio mestiere, ad avere la consapevolezza che ogni singola cosa che fai è una scelta artistica e umana. Questo mi ha cambiato la vita. La mia passione è diventata, con lo studio di Zio Vanja, una vera e propria ossessione: mi sembrava che questo testo, come tutti i testi di Cechov, parlasse di me, di noi, di questa immobilità, del vuoto della situazione italiana: parlo di vuoto culturale, di crisi economica, ma anche di crisi di identità».

E il terremoto come si collega?

«Nello spettacolo Uno zio Vanja, da noi portato in tournée, abbiamo trasferito l’azione da una tenuta decaduta della Russia dell’800 a un vecchio teatro di provincia pieno di debiti in uno dei paesini colpiti dal terremoto del 2009. Il progetto era di documentare il processo creativo teatrale, le riunioni, le prove, la scrittura, la tournée. Poi siamo andati con la macchina presa nei paesini nei dintorni dell’Aquila, fra cui Onna e Poggio Picenze, dove non è entrato nessuno negli ultimi nove anni. Qualcosa è stato fatto, ma in moltissimi paesi invece non è stato fatto nulla. E queste crepe, queste macerie, questo immobilismo, il cattivo impiego delle risorse economiche, sono state da noi documentate. Abbiamo intervistato diverse persone del luogo, tutti parlavano di abbandono totale e di crisi di identità, sembravano usciti da una pièce di Cechov».

Vinicio, lei ha avuto qualcuno coinvolto nei recenti terremoti?

«Molti miei conoscenti sono stati coinvolti nel terremoto dell’Aquila e in quello del 2016 di Amatrice: amici che non ci sono più, morti in questa tragedia, e persone che hanno perso dei parenti, la casa, tutto quello che è stato costruito in una vita. Per questo mi premo me molto portare avanti questo lavoro e farlo attraverso le parole di Cechov. In autunno andrò in Russia sui suoi luoghi, la sua casa di nascita, la casa di campagna dove ha scritto la maggior parte delle sue opere. Voglio farlo conoscere alle nuove generazioni, perché è un genio assoluto e sempre attuale. Saremo pronti nel 2019: lo produciamo mia moglie ed io con la nostra piccola casa di produzione Anton, insieme alla società Except».

Con sua moglie Milena, mamma dei vostri due bambini, siete una delle coppie più affiatate dello spettacolo italiano. Come riuscite a gestire famiglia e lavoro?

«Sono un uomo strafortunato ad avere accanto a me una donna bellissima e dai mille talenti, una attrice incredibile, che arriva dal mondo della danza. Siamo un team che funziona: lavoriamo bene insieme e ci dia- degli stimoli continui. Che genitori siamo? La nostra, usando una metafora teatrale, è una improvvisazione costante. Ci dividiamo i compiti lasciando il lavoro fuori da casa, mentre all’interno delle mura domestiche cerchiamo semplicemente di fare il padre e la madre».

Ora però siete molto impegnati in nuovi progetti teatrali.

«Si tratta di due studi al Piccolo Eliseo di Roma. Dal 25 al 27 settembre ho debuttato nel monologo Il bagno finale di Roberto Lerici, un testo grottesco in cui un uomo racconta le paure e le nevrosi di oggi con le parole dei personaggi letterari, da Faust e De Sade a Robinson Crusoe. Dal 2 al 4 ottobre invece sarò regista di Una Passione, testo di Valentina Diana, con Marco Vergani, direzione artistica di Milena Mancini. Il protagonista è un “povero Cristo”, un ultimo, un invisibile: la replica di un kolossal su Gesù è saltata, l’ultima delle comparse non è stata avvisata e si ritrova da sola sul palco a raccontare al pubblico la storia della Passione di Cristo, sovrapponendola alla sua e alla passione per il teatro. Un testo dai toni ironici, per trattare temi seri e porre domande profonde».

Come quelle al centro di molti suoi film.

«Io cerco di trovare un senso altro a questo mestiere, di comunicare qualcosa legato a ciò che più è profondo e radicato in noi. Più vado avanti come attore , più capisco che la grandezza sta nell’individuare i fallimenti dei personaggi. Anche negli ultimi che ho interpretato, i punti di forza sono le mancanze, le fragilità. I punti deboli sono le cose che ci rendono unici. Nel mio ultimo film, Quanto basta' di Francesco Falaschi, storia di uno chef che si trova a insegnare cucina ai ragazzi asperger, ho lavorato con un gruppo vero di ragazzi affetti da questa sindrome. Un’esperienza straordinaria: la diversità insegna sempre a chi è un presunto normale».

Di cosa parleranno i suoi prossimi film?

«Prossimamente uscirà nelle sale Drive me home, opera prima di Simone Catania in cui recito con Marco D’Amore: un viaggio in camion in giro per l’Europa per raccontare l’emigrazione di tanti giovani insoddisfatti del posto in cui sono nati e cresciuti. E a ottobre uscirà anche il fantasy per famiglie Otzi e il mistero del tempo».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: