Uniamoci a Marcello Lippi e appelliamoci alle certezze (poche) che ci strappano ancora un sorriso di convenienza dopo la figuraccia contro l’Egitto. Si sa che i nostri cavano il meglio quando la barca sta per affondare. E allora aggrappiamoci a questa massima perché oggi sappiamo di non essere granché e soprattutto apprendiamo che altri, vedi Egitto, corrono il doppio e giocano decisamente meglio. La parte della Sfinge ieri sera a Johannesburg l’hanno fatta i vecchi gladiatori di Berlino, numericamente sconfitti di misura ma surclassati nei contenuti. Per arrivare in semifinale e dare un senso a questo torneo propedeutico al Mondiale, ora potrebbe non bastare nemmeno battere il Brasile domenica sera. Per la certezza matematica occorrerebbe vincere con due reti di scarto. Lippi ha insistito con la nostalgia e i nomi di sempre, dopo tanti esperimenti che pure avevano collezionato futuro e speranza. Si va avanti con i campioni del mondo, la certezza per il ct è quasi un dogma. Cannavaro (125 presenze, ne manca una per eguagliare il record di Paolo Maldini) rientra dopo l’infortunio: con lui Chiellini in mezzo, Zambrotta a destra, Grosso a sinistra. A centrocampo la coppia Pirlo-De Rossi è supportata dai polmoni (ancora) un po’ spompi di Gattuso ma fa niente: l’importante è non allontanarsi troppo da Berlino. Perché - Lippi dixit - anima e compattezza del gruppo non si barattano con il gioco e, tantomeno, con le innovazioni forzate. Davanti, il ct promuove Giuseppe Rossi titolare dopo la doppietta agli Stati Uniti, Iaquinta e Quagliarella completano un trio offensivo sul filo dell’utopia. E’ insomma una nazionale che abbandona il caro vecchio (Italico) motto del primo non prenderle, salvo cadere in depressione al vantaggio egiziano nei minuti finali del primo tempo. La messa in opera firmata Lippi sembrava nella prima mezz'ora non tradire poi tanto le migliori intenzioni: i 'vecchi' campioni hanno macinato calcio, hanno provato anche a condirlo di poesia. Cose buone dal mondo, contro i campioni d’Africa, difficili da impallinare con il solo blasone. Poi il vuoto, l’assenza ingiustificata, le gambe azzurre dure e poco reattive. L’Italia ha verticalizzato tanto ma senza mai azionare il suo tridente: manca il solista, si è visto ad occhio nudo. Maliziosamente si può dire sia più facile trovare un ago nel pagliaio che il Baggio di domani. Il convento passa questo, inutile non farsene una ragione. Nei primi 45’ si contano un gran sinistro di Rossi e una mezza conclusone di Iaquinta. Palese la povertà numerica delle occasioni, come palese, nella sconfitta di ieri, è stata anche la sofferenza atletica azzurra quando l’Egitto si è fatto avanti. Soprattutto da sinistra, dove Grosso ha ripiegato poco e male e il discreto Fatih si è travestito da fenomeno con frequenza imbarazzante. La capitalizzazione egiziana al 40’ su calcio d’angolo: in mezzo all’area Homos è libero e sfrutta il buco di De Rossi. Anche Cannavaro è lontano, e con lui le solidissime basi di Berlino e dintorni. Vantaggio egiziano, fischi del pubblico pagante e tanti saluti alla nostalgia. La capocciata che ci ha portato in svantaggio ha azionato una reazione così così. Entrano Montolivo (occasione limpida al 73’) e Toni, escono Gattuso e Rossi. Iaquinta scheggia la traversa nel finale. Ma è 1-0 per l’Egitto che resta in corsa: per l’Italia - a meno di clamorose rinascite contro il Brasile - la Confederations Cup è quasi finita.