Il fiume Madeira in Amazzonia - Combonianos Brasil / Pixabay
In questi giorni drammatici in cui stiamo purtroppo imparando a nostre spese quanto è importante la salvaguardia dei beni pubblici globali (come la salute e la prevenzione delle pandemie) arriva la giornata mondiale dell’acqua. Che ci fa riflettere su un’altra grandissima emergenza presente e futura nel nostro mondo sconvolto da un modello di sviluppo che dobbiamo assolutamente riformare. L’acqua è oggi punto di snodo e cartina di tornasole di una molteplicità di aspetti dell’insostenibilità del nostro modo di vivere. Nel pianeta si stima ci siano 2,1 miliardi di persone senza acqua pulita in casa e 1000 bambini che muoiono ogni giorno nel mondo per diarrea causata da acqua infetta. Secondo l’Oms il 60% della popolazione mondiale non ha servizi igienici adeguati e circa 4 miliardi di persone vivono condizioni di scarsità d’acqua per almeno un mese all’anno. Ci aiuta a riflettere sul problema un bellissimo libro di un giovane esperto, Edoardo Borgomeo (Oro blu, Storie di acqua e cambiamenti climatici, Laterza, pagine 159, euro 15) che ha girato il mondo occupandosi di acqua per conto della Fao.
Il libro è un insieme di racconti che hanno il pregio di immergersi nei tanti aspetti del problema vissuti in diverse parti del mondo. Il viaggio inizia dal Bangladesh dove Namrata, una giovane madre, combatte in Bangladesh la sua battaglia di agricoltore contro l’aumento della salinità dell’acqua, il suo inquinamento che porta malattie e il rischio incombente di grandi alluvioni. Una battaglia tradizionale in quel Paese, ma che diventa via via più difficile col progressivo aumento dell’allarme sul riscaldamento globale. In Brasile incontriamo un giovane ingegnere idraulico (Flavio) che gestisce un bene preziosissimo, una grande diga sul fiume Sao Francisco nei pressi di Brasilia. La riduzione delle precipitazioni ha progressivamente reso sempre meno ricco questo tesoro che Flavio deve dividere (decidendo «chi berrà per primo da un bicchiere che è praticamente vuoto») tra esigenze dell’industria idroelettrica che ha bisogno abbondante di acqua e di salti di cascata per produrre più energia per i grandi centri urbani, degli agricoltori che la chiedono per le coltivazioni di uva e di guava e dei pescatori che vedono ridurre progressivamente il proprio bacino di pesca. E ancora in Pakistan scopriamo la storia di Perween una giovane donna architetto, che perderà la vita combattendo la “mafia dell’acqua” di Karachi con un progetto innovativo di cittadinanza attiva, ma il cui sacrificio non sarà vano. Problemi come questi ci fanno capire e sorridere meno di fronte a una campagna come quella che intende attribuire ai fiumi diritti soggettivi. Si dirà che questi spettano solo agli esseri umani, ma riconoscere diritti ai fiumi diventa una strategia utile anche all’uomo che finisce per ridurre i danni che il sovrasfruttamento delle risorse idriche arreca alle comunità.
Quest’idea che può apparire bizzarra diventa realtà in Nuova Zelanda dove il Parlamento approva una legge che rende il fiume Whanganui (il terzo fiume del Paese) un soggetto giuridico. Coronando una lunga battaglia del popolo maori che sente da sempre il fiume come parte di sé. E qui scopriamo che l’acqua non è solo utile, anzi essenziale per la vita, ma ha un ruolo fondamentale nell’identità e nella religione di molti popoli. Il connubio migliore possibile tra efficienza nella gestione della risorsa e la sua valorizzazione commerciale lo troviamo però in Olanda. Gli olandesi stanno infatti da tempo mettendo a frutto la minaccia storicamente incombente sulla vita del Paese nato al di sotto del livello del mare ritagliandosi un vantaggio comparato da “esperto di acqua”. Se l’Italia esporta nel mondo il suo stile di vita e prodotti legati alla moda, al cibo e all’abbigliamento, gli ambasciatori olandesi nel mondo promuovono le competenze di società esperte nella gestione dei problemi idrici, sempre più importanti per il futuro del Pianeta. I problemi legati all’acqua (“Oro blu”) saranno sempre più urgenti e pressanti. L’epidemia del Coronavirus ci sta aiutando a capire che siamo tutti interdipendenti e nessuno si può mettere in salvo da solo. Anche se viviamo nella parte più ricca e fortunata del pianeta la sofferenza di Paesi o regioni contigue finisce prima o poi per investirci come uno tsunami. Come ricorda uno studio recente di Pasini e Amendola, che mostra come tre quarti delle migrazioni dal Sahel verso il nostro Paese siano correlate alle variazioni di temperatura che hanno reso il rapporto tra demografia e risorse naturali insostenibile in quella regione (con un bacino fondamentale come il lago Ciad che ha perso il 90% della sua portata dal 1960 a oggi).
Nella salute globale, nella lotta a pandemie e a epidemie come nella gestione di un bene prezioso ed essenziale per la vita siamo tutti sulla stessa barca e, come ricordava don Milani in un suo celebre detto, non possiamo che risolvere il problema insieme con più impegno, solidarietà e cooperazione.