lunedì 5 dicembre 2011
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Chi l’anno scorso in Italia ha stampato più titoli sulle religioni? La risposta potrebbe essere facile: il colosso Mondadori. Ma se chiediamo qual è la classifica per numero di libri editi sulla storia della Chiesa, sempre nel 2010 e nello Stivale, la risposta oltre che ardua potrebbe suonare anche sorprendente; sono stati, nell’ordine: Lindau, Newton Compton, Fazi, Rizzoli, Vita e Pensiero. Newton Compton editore «religioso»?!? Basterebbe forse quest’elemento per dire quanto insolito – e quanto cambiato, rispetto soltanto a un decennio fa – appaia oggi il panorama della stampa di tema religioso nella Penisola. Ma disponiamo per fortuna anche di più, ovvero dei dati certificati dal primo Osservatorio sull’editoria libraria religiosa in Italia: un’indagine commissionata dall’Uelci (Unione editori e librai cattolici italiani) per capire – citiamo – «qual è lo stato di salute del libro religioso nel concitato mondo del mercato editoriale» e i cui risultati qui rendiamo noti. E la prima scoperta (che poi in realtà è una conferma) sta nel crescente interesse dimostrato dagli editori «laici» per i volumi religiosi: ormai il 18% dei titoli pubblicati in materia nel nostro Paese (e addirittura il 39% della saggistica religiosa culturalmente più impegnata) è appannaggio di stampatori non confessionali; una cosa addirittura impensabile nel millennio scorso, quando anzi il libro cattolico lamentava di essere considerato un prodotto troppo «di nicchia». Ora invece – caduti gli steccati del pregiudizio ideologico di stampo marx-scientista e anzi sull’onda del confuso revival spirituale post-moderno – nessuno più si stupisce che Enzo Bianchi tenga testa in libreria alla cucina televisiva di Benedetta Parodi, né che i volumi di Vito Mancuso (teologo la cui comprensione non è certo immediata) possano far concorrenza ai romanzi di Sveva Casati Modignani. La religione messa in pagina è trendy, come il suddetto sondaggio conferma: dal 2000 a oggi i lettori di testi religiosi sono in crescita costante, del 2% annuo in media fino al 2007 e addirittura del 6,1% all’anno dal 2007 a oggi: vuol dire quasi un milione di lettori in più in un decennio. «Il mercato della domanda religiosa è più ampio di quello che abbiamo pensato finora – s’introduce Giovanni Cappelletto, che con questa ricerca si presenta in pubblico quale presidente Uelci (è stato eletto a luglio) –, adesso possiamo dirlo con cifre precise perché è la prima volta che viene analizzata tutta la produzione editoriale religiosa dell’anno, comprese le sigle laiche. E la nostra ricerca mostra che proprio queste case non solo si adoperano per "rubare" ai colleghi cattolici gli autori più prestigiosi (e vendibili), ma hanno ormai per il mercato religioso un’attenzione non più episodica e nemmeno soltanto commerciale; hanno cioè costruito una complessa proposta editoriale per affrontare il tema universale della domanda di Dio».
 
Piatto ricco mi ci ficco: senza fare lo schizzinoso se si parla di Dio... «Tutt’altro. L’editoria laica ha saputo approfittare del nuovo spazio più velocemente di noi, per esempio nel settore della storia della Chiesa e delle religioni in genere – dove addirittura la sua produzione supera quella delle case cattoliche. Esiste infatti un nuovo pubblico, che si colloca nelle fasce di mezz’età, il quale non possiede un’esperienza di fede vissuta ma conserva ugualmente una domanda di senso sulla propria vita e cerca risposte anche in libreria; lo testimonia pure il successo dei testi d’esoterismo. Come l’editoria religiosa può confrontarsi con questi lettori? Quello che facciamo finora non basta, bisogna progettare una linea editoriale apposita». E forse non solo. Giovanni Peresson, quale responsabile dell’Ufficio studi dell’Associazione italiana editori (Aie), ha diretto la ricerca in prima persona: «Il processo è cominciato anni fa e oggi è diventato tale che nessuno si stupisce più di trovare come ospiti nelle trasmissioni tv di successo alcuni autori di saggi sul Gesù storico o sulla Riforma protestante... Anzi, la presenza dell’editoria laica è destinata a crescere pure in alcuni settori tradizionalmente appannaggio della "sorella" religiosa. Mi sorprende per esempio che, in un ambito dove da un secolo gli editori cattolici erano maggioritari – ovvero i libri per ragazzi – oggi i loro titoli sono in diminuzione. Mentre quasi non esiste una narrativa, italiana o straniera che sia, pubblicata da case religiose». E che cosa vuol dire? «Che bisognerebbe riflettere su cosa significa avere un progetto editoriale completo, dalla scelta dei titoli fino alla libreria. La realtà oggi è complessa, non basta pubblicare: occorre saper vendere, anche all’estero; scegliere per ogni autore i formati adatti, compreso quello elettronico; ripensare in modo radicale all’immagine della libreria, oggi il luogo dove il mondo editoriale cattolico è rimasto più indietro rispetto a quello laico. Ormai la libreria è un punto vendita dove ci si aspetta di trovare anche cartoleria di qualità, un’oggettistica che comprenda non solo articoli religiosi, un arredo accogliente, un assortimento molto ampio, e così via. Io comincerei da lì». Anche Giuliano Vigini professore di Sociologia dell’editoria contemporanea alla Cattolica, segnala che all’analisi Uelci andrebbe aggiunto il riscontro del mercato: «Bene i dati relativi alla produzione, ma non si dice che cosa acquista il pubblico, chi va nelle librerie religiose, a che ora, quanto si ferma, quanti libri legge... L’inchiesta documenta inoltre una presenza nelle librerie di varia "laiche" di prodotti dell’editoria cattolica che arriva ormai a un incoraggiante 15%; però vorremmo sapere anche qual è il fatturato». Diffidente? «Alcune barriere sono cadute, ma l’irruzione nel mercato laico non è ancora quantitativamente significativa. È anche un problema di distribuzione, di comunicazione, di pubblicità; e diciamo la verità: in alcuni di questi settori i cattolici sono indietro assai. Insomma, il mercato potenziale può svilupparsi ancora. Un altro esempio: nell’Italia dei 25.000 campanili e delle 225 diocesi, si potrebbe fare molto di più. I credenti dispongono di una rete di media locali e di centri culturali che nessun’altra nazione ha, e andrebbe sfruttata meglio. Manca un’incisiva pastorale della lettura: che attivi clero e fedeli in uno sforzo di servizio, con biblioteche e volontariato intellettuale da diffondere capillarmente nelle parrocchie. Invece il localismo, che potrebbe essere un vantaggio, diventa un punto debole». C’è dunque da chiedersi se il risultato principale restituito dall’Osservatorio, ovvero l’interesse laico per il prodotto religioso, debba essere considerato una chance o piuttosto un rischio, per l’editoria cattolica...
Vigini interviene: «No, credo che comunque l’ingresso degli editori non confessionali sia positivo, uno stimolo a fare meglio. Se loro sono più organizzati, si risponda con una maggiore programmazione. Ci portano via gli autori migliori? Ma è sempre stato così; e del resto se Mondadori o Rizzoli diffondono Ravasi e Riccardi là dove i religiosi non riescono ad arrivare, si aprono poi strade perché gli stessi continuino a vendere anche quando pubblicano con case cattoliche. Il problema è riuscire a valorizzare meglio le tante novità religiose; troppi libri che durano poco: meno dei libri laici». Anche Cappelletto non teme il confronto: «Certo la concorrenza aumenta, e spesso i colleghi laici scombinano un po’ le carte perché affrontano il tema religioso con un linguaggio molto diverso dal nostro, non partono da un’esperienza di fede bensì da una richiesta più generica. Tuttavia la nostra ricerca dimostra che il fenomeno non è né sarà passeggero, dunque occorre prendere sul serio la sfida. E anch’io credo che si debbano cercare nuove forme di promozione; l’e-book, ad esempio, potrebbe essere una soluzione interessante per il mondo cattolico, perché permetterà di raggiungere un pubblico estremamente disperso come il nostro. Intanto il prossimo passo dell’Uelci sarà un secondo Osservatorio, nel quale analizzeremo meglio i singoli settori della nostra produzione editoriale religiosa; appuntamento al Salone di Torino».
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