mercoledì 20 maggio 2015
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Dedicherò quest’ultima lezione alla libertà, o più esattamente alle libertà. Infatti, non mi piace usare il termine libertà al singolare. Come si dice che la pace è indivisibile – cosa non vera – così a volte si dice che la libertà è indivisibile, cosa ugualmente falsa. Anche nelle società più dispotiche, gli individui godono di alcune libertà. Per comprenderlo, basta usare il termine libertà nel senso più prosaico e si noterà che l’individuo che ha la possibilità di scegliere fra questo e quello, di fare o di non fare, di andare in chiesa o di non andarci, è libero nei riguardi di quell’attività particolare e, in questo senso, vi sono delle libertà. Godiamo tutti di alcune libertà e non godiamo mai di tutte le libertà. In pratica, perché possiamo godere di alcune libertà, bisogna vietare agli altri membri della società cui apparteniamo di impedirci (ossia bisogna impedire loro di impedirci) di esercitare le nostre libertà. Quando vogliamo organizzare una manifestazione pubblica, affinché abbia luogo, bisogna interdire agli altri, o impedire loro, di impedire la nostra manifestazione. Questo significa che non c’è libertà per qualcosa o qualcuno che non comporti per lo più, come contropartita, una limitazione o un’interdizione per qualcos’altro o qualcun altro.Ovviamente, se ragioniamo alla maniera dei filosofi del XVII o del XVIII secolo, se ci rapportiamo allo stato di natura, il problema si pone diversamente. Possiamo dire che, nello stato di natura, quando non c’è ancora stato di società, la libertà si confonde con la capacità o la forza dell’individuo. In realtà, alcuni filosofi hanno analizzato lo stato di natura come quello nel quale la libertà di ciascuno si confonde con la sua forza. L’individuo deve battersi con la natura, è libero di fare ciò che la sua forza gli permette di fare, ma vi sono anche gli altri e, poiché non ha ancora stabilito dei legami sociali con gli altri, può trovarsi con loro o in una situazione di pace o in una situazione di guerra.Come sapete, alcuni filosofi hanno qualificato lo stato di natura come la guerra di tutti contro tutti. L’esempio clamoroso è quello di Hobbes, che ha del resto comparato lo stato di natura da lui descritto con la relazione degli Stati fra loro. Infatti, secondo lui, gli Stati sono nello stato di natura, cioè in uno stato di guerra permanente, sia essa reale o solo potenziale. Altri, al contrario, come Montesquieu, non hanno descritto lo stato di natura come uno stato di guerra nel quale ognuno voleva prevalere sull’altro, ma come uno stato nel quale gli uomini sarebbero in preda al timore, alla paura, e non avrebbero quindi affatto l’idea della dominazione o l’istinto della violenza. Non sono sicuro che si possa porre fine al dibattito fra queste diverse interpretazioni dello stato di natura, perché esse rinviano a concezioni diverse della natura umana [...]. Tutto ciò che si può affermare come certo o quasi certo è che, al di fuori della società, regna fra gli uomini l’insicurezza. Penso che praticamente tutti i filosofi che usavano questo concetto di stato di natura riconoscevano che, senza un potere superiore a tutti gli individui, senza un potere in grado di imporre la pace, c’è perlomeno una situazione di insicurezza. È quindi molto significativo che Montesquieu, nello Spirito delle leggi, definisca la libertà politica in questi termini: «La libertà politica consiste nella sicurezza o almeno nell’opinione che si ha della propria sicurezza». E la sicurezza occupa il terzo posto nell’elenco dei diritti fondamentali all’art. 2 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Del resto, si può congiungere con il termine sicurezza quello di proprietà, che nell’elenco lo stesso articolo collocava al secondo posto, subito dopo la libertà. Infatti, non c’è sicurezza per un individuo umano se non è protetto ciò che possiede, ciò che gli è proprio. Non che io voglia presupporre o insinuare che una qualsiasi proprietà debba godere della sicurezza. Tutte le società emanano delle leggi che regolano la proprietà, che stabiliscono quale forma di proprietà è legittima o meno. Ciò che sembra incontestabile è che in ogni società, anche in una società totalmente socialista, esiste qualcosa che è proprietà dell’individuo, per cui si può affermare che la sicurezza e la proprietà fanno parte dei diritti fondamentali [...].Da tutto questo risulta che porre o dedurre la libertà in astratto non significa granché. Un partecipante ai miei corsi mi ha ricordato una celebre definizione della libertà: «La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce all’altro; così l’esercizio dei diritti naturali di ogni uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla legge» (art. 4 della stessa Dichiarazione del 1789). Chi non accetterebbe questa formula, almeno finché non cerca di definire esattamente il significato di tali termini? Va da sé che ognuno può essere libero fintantoché non nuoce agli altri. Ma, volendo prendere un esempio particolarmente significativo nella società moderna, come verificare che l’attività economica dell’uno non nuoce agli altri? Questa formula è, al tempo stesso, in un senso evidente e in un altro senso quasi priva di significato.
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