venerdì 30 dicembre 2011
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Lo scrittore americano Henry James giunse da queste parti col preciso scopo, così ne scrisse nel 1909, «di fare un pellegrinaggio sentimentale». Il pensiero dell’autore di I bostoniani era per Percy Bysshe Shelley, che in una piccola casa sul mare di San Terenzo visse gli ultimi mesi della sua vita, entusiasta di un paesaggio che fu per lui di ispirazione. Per noi, un secolo dopo, avventurarsi nel golfo della Spezia, noto come "Il Golfo dei poeti", è una ghiotta occasione per conoscere luoghi tanto affascinanti quanto, forse, poco sapientemente sfruttati dagli operatori turistici. Ma può anche diventare un tuffo nel più puro Romanticismo. San Terenzo è solo uno e non il più noto, fra i borghi che costellano questo tratto di mare. Da levante a Ponente, per ricordarne alcuni, dopo il promontorio di Montemarcello, primo contrafforte di Liguria, incontriamo Tellaro, Fiascherino, Lerici, San Terenzo, appunto, La Spezia, Fezzano, Le Grazie, Portovenere, per chiudere con tre perle del Mediterraneo che sono le isole Palmaria e Tino, annunciate ai venti del Sud dallo scoglio del Tinetto. Materiale storico, artistico e naturalistico per redigere centinania di libri. Anche noi, come James, partiamo dalla piccola Villa Magni, ultima abitazione di Shelley. Una casa semplice, il cui primo impianto risalirebbe a un monastero barnabita del XVI secolo. Il portico affaccia sulla strada. All’epoca di James dava ancora sul mare. Shelley giunge qui, fra aprile e maggio del 1822, con sua moglie Mary (l’autrice di Frankestein, figlia del filosofo William Godwin), con la sorellastra di lei, Claire Clairmont, e con gli amici Edward e Jane Williams, conosciuti a Pisa con altri inglesi, intimi di Lord Byron, che in quel periodo alloggia a Portovenere. Mary, che in quei giorni patisce l’ennesimo aborto, già segnata dalla perdita di due figli, prostrata da esaurimenti nervosi, dai tradimenti del marito e poi dalla sua morte, porterà di quel luogo ricordi amari. Claire riceve qui la notizia della morte della figlia avuta da Byron. Del Lord poeta si racconta una memorabile visita ai coniugi Shelley, fatta percorrendo a nuoto (8 km) il Golfo da Portovenere a San Terenzo. Si dice anche che amasse visitare, sempre a nuoto, una grotta dietro Portovenere, tutt’oggi conosciuta come Grotta di Byron. Shelley si fa costruire una piccola goletta (era stata chiamata don Juan in onore del "Don Giovanni" di Byron, ma Shelley la ribattezza "Ariel", suscitando le ire dell’amico, che per ripicca dipinge il nome originario sulla vela di maestra) con la quale visita la costa e sulla quale scrive versi, ispirato dalla presenza di Jane Williams. Su questa imbarcazione, ai primi di luglio, fa naufragio, con Edward e un marinaio, al largo della Versilia, tornando da un viaggio a Livorno. Il corpo lo trovano il 18 luglio sulla spiaggia di Viareggio, sfigurato dai pesci. È identificato grazie a una copia delle poesie di Keats nella tasca della giacca. Sepolto nella sabbia viene riesumato il 16 agosto da George Byron e arso su una pira di legna di pino. Il cuore, strappato al fuoco, si dice, ancora intatto, viene consegnato a Mary, che lo porterà con sé nella tomba. Le ceneri, invece, come disposto dallo stesso Shelley, riposano a Roma, accanto alla Piramide Cestia, vicino alla tomba di Keats. Lo avevamo detto: ci sarebbero da scrivere centinaia di volumi. E siamo solo a San Terenzo. Il resto del Golfo ha un fascino difficilmente eguagliabile. Circondato da alte montagne, che a ovest lo separano dalla costa delle Cinque Terre e degradano in suggestive insenature, con i borghi marinari che conservano atmosfere medievali, con chiese costruite sul mare e imponenti fortificazioni. A Tellaro, la chiesina di San Giorgio, che intinge le mura nell’acqua, fa venire in mente una poesia nella quale Cardarelli dipinge le chiese di Liguria «come navi pronte a salpare». A questo tempio è legata una leggenda, che vuole le sue campane suonate a martello da un polpo, e il paese salvato da un’incursione saracena. Gioiello in fondo a una minuscola baia, Fiascherino. Incantevole Lerici, dominata dal Castello, a lungo conteso fra Genova e Pisa, che ospita un museo paleontologico, dopo il ritrovamento di orme di dinosauro. Di fronte, a ponente del golfo, si erge Portovenere, che i genovesi, per essere stati aiutati nella conquista di Lerici, premiarono nel XIII secolo con la costruzione della bellissima chiesa di San Pietro, sui resti di un tempio paleocristiano edificato su un probabile tempio di Venere. Due millenni di storia su uno sperone di roccia che guarda il mare aperto, in faccia alla Palmaria. Alle Grazie, il porticciolo, maree a parte, ricorda le suggestioni di analoghi ripari sulle coste bretoni e britanniche. Non mancano resti di ville romane e navi romane. Da non perdere gli affreschi quattrocenteschi del monastero olivetano delle Grazie e il monastero benedettino dell’XI secolo sull’isola del Tino, dominata dal fascinoso faro che segnala il porto della Spezia, città che offre musei e risvolti inattesi. Ma qui si apre un altro capitolo.
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